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L'EREMO DI SANTA MARIA DELLA SAMBUCA


Una passeggiata, anche se abbastanza impegnativa, in un luogo incantevole che consiglio a tutti di fare.

Con un viaggio a ritroso nel tempo, tento di ricostruire le sue origini seppur oscure e contornate da strani eventi collegati ad apparizioni di demoni ed angeli.

L'unico storico che retrodata la costruzione dell'eremo, associandolo ai frati agostiniani è il Santelli ( A. Santelli, “Stato antico e moderno ovvero origine di Livorno in Toscana dalla sua fondazione fino all'anno MDCXLVI”, Firenze, Gaetano Cambiagi 1772, tomo III).
Secondo quanto da lui affermato, il priore di questo convento, Isaia, prese parte al capitolo generale degli eremiti toscani, che si tenne a Cascina nel 1250. Per avvallare la sua affermazione riporta anche un documento del 1259, da cui risulta che due frati di Parrana acquistarono per conto del loro istituto un pezzo di terra con casa situato nel territorio di Livorno.
Un interessante studio, condotto sugli atti notarili del XII e XIII secolo, da Matilde Tirelli Carli, riporta le trascrizioni effettuate a favore dell'eremo.
"Il 24 agosto 1237, Rainerio del fu Belluccio lasciò al romitorio di Santa Maria di Parrana (così viene citata la Sambuca prima dell’anno 1317) la metà “pro indiviso” di tutte le terre colte, incolte, vigne, olivi ed alberi che egli possedeva.
Un atto datato 19 febbraio 1267 fornisce un altro tipo di informazione: il romitorio dipendeva dal monastero di San Paolo in Ripa d’Arno (monastero della Congregazione Vallombrosana menzionato per la prima volta nel 1032), a cui i frati di Parrana dovevano, in riconoscenza dello “jus patronatus”, consegnare annualmente un cero di una libbra in occasione della festa dei santi Pietro e Paolo".


Maggiormente fondate, le notizie che ci riporta il Vivoli nei suoi Annali (Tomo I p. 235):

"Ora in questo intervallo di pace si fondava non lungi da Livorno, e nei monti compresi nel suo circondario, un nuovo Monastero, cioè quello detto della Sambuca.
Morto già nella Badia di S.Salvadore il Giovanni de' Colombini di Siena, istitutore dell'Ordine dei Gcsuati, il P. Girolamo che gli era succeduto, nulla più bramando che di ampliare in Toscana il numero dei Romitori della sua regola, si decise di stabilirne uno anche presso al nostro villaggio.
Inviava perciò due dei suoi più attivi Religiosi ad edificarlo nel luogo già da lui prescelto tra le foreste dei poggi di Munte Masso, e del Corbolone.
Erano questi Luca della Terina, e Michele da Firenze, il quale ultimo veniva in specie reputato abilissimo nell'arte del fabbricare.
Per quanto le memorie contemporanee de' Gesuati assicurino avere quei due Monaci incontrate non lievi difficoltà per condurre a termine il Convento, nondimeno riuscirono ad ultimarlo nel corrente anno.
In fatti prima che decorresse venne da essi solennemente dedicato alla Beata Vergine, insieme colla Chiesa che le sorgeva allato, sotto l' invocazione, ed il titolo di S. Maria della Sambuca. Non poté però essere abitato che da pochi Religiosi; mentre alquanto ristretto non era capace di contenerne più di quindici a venti.
Situato nel fondo di una angusta valle, serrata per ogni parte dai monti, e così in una specie di buca, riportò appunto per questa sua speciale posizione l'indicato nome di Sambuca, ossia di Santa Buca.
Orrida, e selvaggia, ma pure bella e piacente nella sua stessa orridezza, era quella valle silenziosa, e romita. Oggi si chiamerebbe da taluni romantica veramente. Aspri e folti boschi la circondavano; erti colli nascondendola quasi all'altrui vista.


Tutto perciò vi inspirava raccoglimento, meditazione, e sublimità di concetti. L'uomo che l'abitava separato dal mondo, e colaggio diviso da ogni strepitoso umano consorzio, non poteva elevare il pensiero che alla contemplazione di Dio, ed alla vita futura. La solitudine, ed una perfetta quiete vi dominavano;  poiché appena ne rompevano talvolta il silenzio profondo l'agitarsi delle annose piante, od il lieve mormorio delle ingrossate sorgenti dell'Ugione, il quale quasi al di sotto del Convento le sue acque inoltrava, non che il melodioso canto degli augelletti, con cui al Creatore nel loro giulivo linguaggio rendevano lode.
In siffatta segregata posizione riusciva inoltre alquanto difficile rinvenire il Convento, che vi era stato fabbricato; tanto più che neppure dalle soprastanti colline scorgendosi non si mostrava allo sguardo di chi ne andasse in cerca se non se quando a pochi passi dalle sue mura fosse già pervenuto.
Veduto poi in quel punto sembrava, direi quasi, come una grandissima pietra, la quale in quella specie di baratro fosse stata dall'alto lanciata. Appositamente i Gesuati avevano scelta una sì recondita località non solo per potervi condurre vita penitente, e monacale, quale al loro istituto conveniva; ma anche per potervi soggiornare con maggiore sicurezza: mentre situato come era quel Romitorio in linea retta a breve distanza dal mare, dovevano desiderare riuscisse difficile, se non impossibile, il ritrovarlo in specie agli stranieri; poiché erano allora pur troppo frequenti, ed improvvisi gli sbarchi degli Infedeli Saraceni sulle coste d'Italia".


"La Chiesa è dedicata all' Annunziazione della Madonna, e mons. Giuliano Ricci arcivescovo di Pisa, il 5 Ottobre 1442, la consacrava, secondo un'iscrizione che vi si conserva.
Quella valle, a cagione dell' eremo, si chiamò la Santa Buca o Sambuca. La fabbrica del convento, dice il Targioni che la visitò, esiste tutta intiera ma è molto meschina, e capace di pochi frati. Sulla porta è dipinta una veduta della città di Siena. La Chiesa è piccola, ma sufficientemente ornata. Nell' altar maggiore è un quadro fatto da ottimo pittore, ed una pila da acqua santa con figure a basso rilievo.
Sull' altare a destra è dipinta a fresco un' Annunziata, ed in quello di faccia sta un' immagine del Nazzareno. In questo convento prese 1' abito religioso il beato Giovanni Audinghelli di S. Gimignano".
(Guida storico Artistica p. 500)

Il Targioni nel 1742 fece visita all'eremo e riferisce che:
"La Sambuca Convento dei Gesuati fabbricato nel fondo di una angusta Valle sul Torrente Uggione. Vi ha apparenza che intorno vi fosse già tutto bosco Fu principiata la Fabbrica di questo Convento vivente S. Giovanni di Pietro de' Colombini, cioè verso la fine del Secolo XIV.
Nella vita stampata di questo Santo al Cap. 31 si legge che un giovine Fiorentino , il quale aveva nome Michele per gran divozione, e amor di Dio prese l' abito di S. Giovanni, e fu mandato a S. Maria della Sambuca per edificare. La fabbrica del Convento esiste tutta intera ma è molto meschina, e capace di pochi frati. Sulla porta è dipinta una veduta della Città di Siena. La Chiesa è piccola, ma sufficientemente ornata.
Nell' Altare maggiore è un quadro fatto da ottimo pittore, ed a una pila da acqua santa con figure a basso rilievo. A levante del Convento nasce il Rio Uggione, che passa per mezzo alla valle rasente al Convento.
La veduta di Siena oggi più non si scorge sulla ridetta porta, che è quella che introduce nel Convento; poiché ad un ignorante imbianchino pochi anni indietro piacque darle sopra un colore a calcina. Adesso però cadendo a poco a poco il bianco compariscono di nuovo in alcuni punti i campanili, e le torri dipinte di quella città.
Esisteva pure effigiato in pittura a fresco nel Convento istesso un Gesuato col suo mantello rossiccio; ma anche questa pittura è quasi che perita, vedendosene appena adesso le orme.
Il Convento di forma quadrata con in mezzo un piccolo giardino conserva tuttora, meno ben poche alterazioni, la forma, e le parti antiche, che riteneva ai tempi dei Gesuati. È alquanto piccolo, e di aspetto piuttosto povero senza alcuna di quelle dimensioni magnifiche, ed imponenti, di cui tanti altri Monasteri della medesima età si vedono ovunque forniti. L'Ugione uscendo ivi quasi dalla sua sorgente scorre al di sotto delle sue muraglie, formandovi una piccola cascatella.
La Chiesa è incorporata nel Convento, e non costituisce per ciò una fabbrica separata; mentre ricorre in un lato sotto le celle che abitavano i Frati. È piccola, poiché misurata con i miei passi naturali, la riscontrai non averne che 19 in lunghezza, ed 8 in larghezza. Contiene tre Altari, il Maggiore, e due laterali. Il Cor dietro l'Altare maggiore, di forma circolare, non poteva essere capace che di 10 a 12 Monaci sedenti.
L' Altare maggiore conserva tuttavia il quadro a olio. L'Altare minore a destra, entrando nella Chiesa, è ornato di una pittura a fresco divisa in due quadri rappresentante l'uno l' Angelo, e l' altro la B. Vergine Annunziata.
Affresco conservato nel magazzino dei Granai di Villa Mimbelli

Mi parve lavoro pregievole assai, e di mano maestra; poiché vi notai una grande somiglianza con le migliori pitture a fresco del celebre Campo Santo di Pisa.
Debbe essere opera di non molto tempo posteriore alla fondazione del Convento; mentre dal labbro della Vergine sorte a caratteri gotici in oro il motto « Ecce Ancilla ». Il volto della Vergine è delicato, e bellissimo; quello dell' Angelo esprime al tempo stesso la reverenza, ed il giubbilo, da cui era compreso il celeste messaggiero nell'atto di eseguire la grande missione.
Questo affresco meriterebbe i maggiori riguardi per mantenersi ben conservato, come tuttora fortunatamente lo è".
Degli affreschi soltanto due sono stati recuperati, nei lavori di restauro: quello dell'Annunciazione e i due evangelisti, Luca


Affresco conservato nel magazzino dei Granai di Villa Mimbelli


 e Giovanni.  
Affresco conservato nel magazzino dei Granai di Villa Mimbelli

Qualche anno fa furono esposti ai Bottini dell'Olio: che fine hanno fatto?
Molto interessanti e suggestive le notizie sulla vita che conducevano gli eremiti, che si trovano nell'antico testo:
Vita di alcuni Servi di Jesu Cristo, i quali furono nella Compagnia dei Poveri volgarmente chiamali Jesuati» data alla luce in Siena per Casisto Francesco di Simone Bindi. A di XXVII di Ottobre MDXLI, ad instantia di Giovanni d'Alessandro LibrajoVi riporto soltanto alcuni episodi, collegati a strane visioni e alla "lotta con le demonia" che i frati si trovavano a dover affrontare.
Il primo episodio è quello di frate Bianco da l'Ancolina:

Nella Città di Castello fu posto per padre et Rettore dell'anime Ser Benedetto da Città di Castello ed in questo luogo medesimo venne ad habitare uno giovane, il quale haveva nome Bianco da l'Ancolina. Questo pensò et darsi tutto a Dio et el Bianco disciolto dalla cura, e magisterio spirituale , prese per partito di visitare e luoghi de' carissimi suoi Padri, et fratelli et caminando, e visitando i luoghi, pervenne a S. Maria della Sambuca, et quivi stette alquanti giorni. Et una notte levandosi innanzi a gli altri et essendo stato molto in oratione incominciò a leggere la mistica Theologia; et havendola in mano, il Demonio in grande dispetto venne a lui in forma di Romito, e di grande apparenza. Et veggiendo el Bianco innanzi a se un ombra, levò gli occhi dal libro, et vedendo un Romitone di grande statura, maravigliossi molto perché non era di suo habito, et levandosi diritto disse chi se' tu? E che vai cercando? Rispose io cercho, et non voglio che tu leggi questo libro, che tu leggi: al quale el Bianco intendendo che era il Demonio, con una faccia turbata, e con parole di grande signoria, disse: partiti di qui spirito maligno, et perverso ; lo leggerò questo libro a tuo dispetto, perocché parla del mio dolcissimo amore, del quale mi voglio empire quanto ne posso portare: Et parve a lui che uscisse per una piccola finestra della Chiesa; et andando poi a visitare gli altri luoghi pervenne alla Città di Venetia, e quindi passò di questa vita.
Visione angelica è, invece, quella di frate Nanni di Gualtieri:

Seguita hora del sopradetto Nanni di Gualtieri, il quale pensò con desiderio d' andare a combattere colle demonia alla vita solitaria per venire a stato di perfetta tranquillità di mente: Ma non volendo fare questa cosa senza consiglio, pensò di andare a Santa Maria della Sambuca al Venerabile Luca, e da lui havere consiglio: Et non curandosi di menare compagno andò solo, e quando fu ito intorno un miglio, sentì dietro da se alcuno strepito, e movimento di pietre, et volgendosi indietro vide uno giovane bellissimo, e di grande aspetto, e giugnendo a lui lo salutò, e poi disse: Dove ne vai Frate?, et rispondendo disse, vò per miei fatti: Allora quel giovane gli rispose, et io per tuoi fatti ti vengo drieto, dichiarami Frate questa cosa: “Qual sarebbe il meglio o combattere con gli uomini di diverse e strane condizioni, facendo loro utile, o combatter colle demonia, alle quali non si può far utile?” 
Et Nanni rispondendo, disse, ben so che alle demonia non si può far utile, ma le demonia sono cagione di far l'huomo perfetto.
El giovane disse colui che è grande, e forte, humile ha vinto le demonia. Ma colui che gli pare essere grande et forte è già vinto dalle demonia; Et udendo tali parole si fermò, e ricogliendosi tutto seco medesimo, pensava come tali cose uscissero
da sì giovine persona, e pensò che fusse Angelo o demonio et dirizzando gli occhi verso lui n'ol vide, et riguardando intorno non lo rivide più.
Et stando in agonia di tornare addrieto, o andare innanzi, non sapeva che si fare, ma pure infine deliberò d' andare al Venerabil Luca alla Sambuca, et arrivato che fu narrandogli quel che gli era incontrato. Luca disse che veramente credeva che fussi Angelo di Cielo, il quale gli avessi dimostrato che è meglio in conversatione far utile a molti, che andar solitario.
Hora avvenne che Luca hebbe andare al fabbro per certi ferri et gli altri compagni ad altri lavori, et Nanni rimase solo. Et quando Luca fu dilungato un poco dal Monasterio ricordandosi d' altra faccenda, et di più bisogno, tornò addrieto, et aperse l' uscio del Chiostro, et entrò in Chiesa e cominciò a sonare la campanella. Et vedendo Nanni sonare la campanella non sapendo chi la sonassi, maravigliossi assai, et pensando che el demonio gli volessi far paura, venne giù con grande sicurtà, et entrando drento in Chiesa
, più volte disse lodato Dio, et niuno li rispondeva, et sapendo che era rimasto ei solo in casa pensò che el demonio gli volessi far paura, et pigliando sicurtà in Dio, venne al luogo della campanella, et disse, non so chi tu sia ma se tu se' demonio, non ti tem. Et francamente colle braccia aperte abbracciò Luca, el quale non vedeva, perché v'era molto scuro, et Luca incominciò a ridere, nondimeno si maravigliò molto della sua sicurtà, et fidanza, che haveva in Dio, e cosi stette in allegrezza e consolatione spirituale alquanti die, et ritornando a Firenze poco visse, e morì in santa pace.  Significativa la storia di frate Piero da Firenze:
Un giovane, il quale haveva nome Piero della città di Firenze, rinunziò padre, e madre, et frategli et ricchezze del Mondo, et prese l' habito de' poverelli divotamente, et ferventemente, e fu mandato a Bologna per più sicurtà. Hora intendendo il padre, et frategli come era a Bologna, procurarono di rihaverlo. Il padre tenevalo rinchiuso in camera poi prese partito di vedere se 'l poteva legare a matrimonio et Piero disse io sono contento ora havendo promissione dal figliuolo prese sicurtà di mandarlo fuora di casa, ma diedegli un famiglio per sua guardia. Et ciò sentendo i suoi frategli spirituali , che andava fuori , vestirono un di loro come secolare, acciocché gli parlasse, et sapesse la sua intenzione. Et cercando per lui lo trovò, e informossi con lui della sua volontà, el quale trovò che era fermo et costante, et disposto a voler observare la promessa che haveva fatta a Dio. Et così fece questo benedetto figliuolo Piero , che ivi a pochi dì si parti celatamente da casa del padre con molto gaudio et venne al luogo, et entrando dentro se n'andò al pozzo, et spogliandosi un bel mantello di pavonazzo ch'el padre gli haveva fatto fare lo gittò nel pozzo, e con alta voce disse «Viva Jesu Xristo,e muoja il mondo con tutti e suoi honori et pompe et ricchezze, et signorie”.
Allora e suoi Padri, et frategli tutti il circondarono, et ricevettero con grande allegrezza et feste, et poi lo vestirono, e mandoronlo a Santa Maria della Sambuca a Luca , della venuta del quale vi hebbe singulare consolazione et stando alla Sambuca si portava tanto bene, che era uno specchio a tutti quanti, allora piacque a Messer Domenedio di volerlo remunerare delle sue fatiche; et così portandosi santamente et bene poco tempo visse che 'l Signore se'l chiamò a se.

Storie accomunate dalla brevità delle loro vite, sospese fra tentazioni demoniache ed angeliche liberazioni dal proprio corpo.
Tornado alla storia, due secoli dopo l'ordine dei Gesuati fu abolito e l'eremo rimase in stato di abbandono:
"Aboliti in tal guisa i Gesuati i due ricchi Conventi di Montenero, e della Sambuca presso Livorno, rimanevano da essi abbandonati, sloggiandone dopo avervi dimorato pel corso di più due secoli. Quindi le loro Chiese venivano dall' Arcivescovo di Pisa affidate alla cura di alcuni Preti, i quali erano i due Canonici della Collegiata Giovanni Battista Costa, ed il Balbiani.
Il popolo intanto mentre faceva sù questi avvenimenti le sue giuste osservazioni.
Nè qui si arrestavano a vero dire le di lui paterne sollecitudini; imperocchè si occupava adesso anche a far assegnare dal Sommo Pontefice i beni, che avevano posseduti i Gesuatide lla Sambuca, allo Spedale delle donne inferme già aperto in Livorno; a destinare provvisoriamente nella Venezia Nuova al cune Case di rifugio onde riunirvi ed alimentarvi i poveri inabili al lavoro; ed a comandare nel tempo stesso s'incominciasse nella medesima Venezia Nuova la fabbrica per un Luogo Pio, in cui potessero essere accolte e trovare un asilo le povere fanciulle , ed insieme i ragazzi che avessero perduti i loro genitori.

G.M. Terreni "Veduta della Venezia"

Ed era tale il suo impegno per queste opere insigni di carità, che ajutato anche dalla spontanea generosità geneale dei Livornesi , non che dallo eseniplarissimo zelo del Governatore del Borro, aveva egli la consolazione di vederle tantosto ultimate, cosicchè tra breve erano in grado di ricettarvi gli orfanelli dei due sessi, che si trovavano già nella città abbandonati"
Così come risulta da un'iscrizione trascritta dal Targioni.


 Ritornando alla storia più recente dell'eremo e facendo riferimento ad un articolo di Giovanna Treglia Biagi in "Comune Notizie" apprendiamo che:

L'anno dopo ( 1669) troviamo insediato, nel romitorio della Sambuca, un ex-Gesuato, il senese Silvio Piccolomini, che vi rimarrà fino al 1694. A lui venne affidato l'oneroso incarico della ricostruzione e dei lavori necessari a ristabilire le sorti di un patrimonio ormai decaduto. Gli succederanno Francesco Marchetti e Marco Bani poi, la gestione della struttura, passerà nelle mani del canonico Cosimo Bani, già provicario di Livorno. Grazie al suo operato il romitorio conoscerà una nuova spinta produttiva .
Questa però non durerà a lungo: le attività legate all'economia agricola vanno incontro ad un lento ma costante declino che culmina con le successive alienazioni a privati dei terreni che avevano costituito per secoli il patrimonio fondiario di Santa Maria della Sambuca.
Il 6 dicembre 1830, un regio decreto ne accordò al nobile Michele Tonci la proprietà. Egli, dopo aver fatto riedificare la chiesetta, «fonda un legato pio per la celebrazione di una messa in questa chiesa in tutti i giorni d'obbligo [per dare la possibilità ai] fedeli di ascoltarla». Fa inoltre esporre alla venerazione popolare una immagine della Madonna dipinta su legno, di autore greco, già esposta in San Jacopo in Acquaviva e poi nella chiesa dei Greci Uniti .
Nel 1842 il romitorio cambia ancora proprietario: passa al dottor Vincenzo Mangani, personaggio influente nella Livorno del tempo, che si impegnerà per riportare alla luce gli affreschi nascosti, coperti da uno strato di calce.
Nel 1898 la proprietà passa alla famiglia Taddeoli. Intanto le condizioni del cenobio e dei terreni, mantenuti da conduzioni poderali affidate a privati, sono sempre più disastrate.
Nel 1910 il romitorio diviene proprietà della famiglia Cipriani che l'anno successivo dà l'avvio ad un nuovo restauro del complesso conventuale. Vengono così risanate tutte le strutture di sostegno, eliminate le infiltrazioni d'acqua, stonacate e ripristinate le architetture primitive .
Nel 1912 Santa Maria della Sambuca viene dichiarata monumento nazionale, restaurata e riaperta al culto nelle officiature festive.
Nel 1928, l'ultimo proprietario privato, il signor Benini, ne manterrà il possesso fino agli anni cinquanta quando poi essa diverrà proprietà del Demanio.



Purtroppo, negli anni successivi, il convento sarà oggetto di ripetuti saccheggi degli arredi interni fino a ridursi alle sole mura perimetrali (si sono salvati il contraltare, la campana e gli affreschi perché vennero staccati nel 1953).
Negli ultimi anni sulla struttura sono stati eseguiti due interventi di restauro: quello del 1983, condotto dal Genio Civile di Livorno, su delega della Soprintendenza, ha operato sul campanile e sulla copertura dell'ala destra dell'edificio, ricostruendo ex-novo il tetto della chiesa ; con l'altro, del 1994, eseguito dal Comune di Collesalvetti, grazie a finanziamenti della Comunità Europea, si è restaurata l'ala del convento che ospitava la cappella, onde evitare la completa rovina dell'intero complesso, permettendo così di perpetuarne il ricordo nella memoria storica collettiva".






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