Facciamo un tuffo nel passato per ricordare quanta maginificenza c'era per le vie di Livorno alle fine dell'800 e nei primi decenni del '900, iniziando dalle caratteristiche botteghe del quartiere ebraico.
A leggere quest'articolo, tratto da un manoscritto dal titolo "Livorno che fu" e firmato G.P.D., e poi girar oggi per le vie della nostra città, ti si stringe il cuore.
Testo tratto dalla "Canaviglia" anno 2 n. 1 Gennaio-Marzo 1977
D'estate, la clientela si trasferiva all'aperto, sotto una grande tenda che prendeva il fianco del palazzo, in piazza Cavour. Le consumazioni aumentavano di... bicchieri d'acqua, reclamata gelata, naturalmente gratis.
Scomparvero per i bombardamenti il « Giappone » — adiacente all'albero monimo, e fra i più ben quotati — il Chianti in via del Fante — specializzato in mondanità... notturna, dato che vi consumavano più o meno laute cene (a seconda della generosità dei non molto frequenti ammiratori) le "vedettes" del vicinissimo e già citato cinema teatro Lazzeri. E, nelle altre zone della città, le «Casine» — rossa e verde — sul porto, il "Tramvai" di via del Giardino (ora Fiume)
A leggere quest'articolo, tratto da un manoscritto dal titolo "Livorno che fu" e firmato G.P.D., e poi girar oggi per le vie della nostra città, ti si stringe il cuore.
Testo tratto dalla "Canaviglia" anno 2 n. 1 Gennaio-Marzo 1977
La Sinagoga nel 1875 |
"Iniziamo da Via Cairoli, come la via che ha subito la più profonda trasformazione dai più lontani tempi. Fu solo infatti nel 1925 - o giù di lì- che la vecchia "Via del Casone" ed il dietro del Duomo subirono una totale, profonda trasformazione. Qui i negozi (le "botteghe" come allora più comunemente le chiamavano!)si allineavano ai due lati, ininterrottamente, vendendo ogni genere di merce, per tutti i gusti e per tutte le borse...
Fra i più originali ricordiamo « Bocca di gloria » (che sorgeva sull'angolo Via Cairoli-Via Reale) specializzato in dolci ebraici — erano famose, di questo, le « uova filate » confezionate con tuorlo d'uovo e zucchero —; il « Romanino » pure di origine ebraica, dalle celeberrime «roschette »: un innominato negozio di frutta e verdura, che sorgeva sull'angolo di via del Tempio, con cassette di frutta accatastate su gli stipiti, ed illuminate alla sera dalla classica "boccia" di acetilene!
Quasi di fronte, un negozietto pure di un ebreo (non si dimentichi che la via « del Casone » era nelle immediate vicinanze di quello che era stato, fino alla prima metà dell'800, il « ghetto ») si ornava di un vistoso cartello «Ospedale delle bambole»: e, da antesignano di Barnard, sostituiva alle infortunate braccia e gambe nonché teste, il tutto molto fragile, a quei tempi.
Accanto, si apriva il forno del Bartolena, dove — in vetrina — un "morino" quasi a grandezza naturale, in terracotta dipinta, recava fra le braccia due "fili" di pane di Vienna, specialità della casa.
Via del Casone (Odierna via Cairoli) - Immagine della collezione Leonardi |
Ancora, nel portone vicino, la latteria del Ceccardi: famosa per la panna montata. Echissà perché — lo stesso Ceccardi preparava una misteriosa miscela — all'apparenza, una polvere rossastra – che, sciolta in acqua bollente, faceva « avvizzire » i geloni, allora diffusissimi, fra i ragazzi ed i vecchi specialmente.
E poi mercerie, bustaie, casalinghi, calzature, due o tre salumerie, un macellaio «casher»: che macellava, cioè, secondo il rito ebraico.
Un cenno particolare meritano i negozi di tessuti (a Livorno, si chiamavano «di pannine ») sia in via Cairoli, che « dietro il Duomo ». Erano quasi tutti di proprietà di israeliti: quasi tutte donne, quasi tutte più o meno vecchie.
Questi negozi avevano la particolarità di essere totalmente sprovvisti di porte a vetri: ciò perché era diffusa credenza fra le proprietarie che il cliente non dovesse trovare ostacoli alla ipotetica decisione di entrare per acquisti! Le « pezze » di stoffa erano accatastate su gli stipiti, quasi ad invogliare il saggio per accertarne la bontà: dentro, le eroiche donne resistevano al freddo ed alla umidità degli inverni ammantate di scialli e cappotti, con lo scaldino sotto le gonne, e la « gegia » in mano.
E poi mercerie, bustaie, casalinghi, calzature, due o tre salumerie, un macellaio «casher»: che macellava, cioè, secondo il rito ebraico.
Un cenno particolare meritano i negozi di tessuti (a Livorno, si chiamavano «di pannine ») sia in via Cairoli, che « dietro il Duomo ». Erano quasi tutti di proprietà di israeliti: quasi tutte donne, quasi tutte più o meno vecchie.
Questi negozi avevano la particolarità di essere totalmente sprovvisti di porte a vetri: ciò perché era diffusa credenza fra le proprietarie che il cliente non dovesse trovare ostacoli alla ipotetica decisione di entrare per acquisti! Le « pezze » di stoffa erano accatastate su gli stipiti, quasi ad invogliare il saggio per accertarne la bontà: dentro, le eroiche donne resistevano al freddo ed alla umidità degli inverni ammantate di scialli e cappotti, con lo scaldino sotto le gonne, e la « gegia » in mano.
Via Grande inizio anni '50 |
Anche in via Grande, i negozi si seguivano ininterrottamente, vendendo ogni genere. Accanto a quelli con pretese di modernità e di eleganza, spiccavano vecchi locali, dove magari si vendevano ferramenta o simili o anche cartoline illustrate, inchiostro, profumerie da pochi soldi, ed affini. C'erano pure alberghi — anche di un certo confort — ristoranti, bar e caffè dei quali in parte parleremo più avanti.
I portoni ospitavano venditori di «seme e nocciole» (sic!) che, a Carnevale, aggiungevano al commercio abituale, coriandoli, stelle filanti, maschere, e certe infernali trombe di cartone, che i ragazzini suonavano a perdifiato, preferibilmente nelle orecchie degli sprovveduti passanti.
In proposito, prima di terminare questa via, ci piace ricordare un vecchissimo scherzo, che potrà dimostrare la levità di pensiero di quei tempi.
Verso la metà della via Grande – lato mare — si apriva, fino alla seconda metà dell'ottocento, un negozio di ferramenta, che apparteneva a certi Lagnoni. Molto benestanti, ma tenacemente attaccati alle tradizioni, non avevano voluto sapere né di gas, né di elettricità: illuminavano il negozio, alla sera, con una lucerna a olio.
Alcuni ragazzettacci di quei tempi — colpiti da tanto sfarzo! — si misero d'accordo per riportarli verso il progresso e – quasi ogni sera, appena si accendeva la famosa lucerna — entravano in negozio. Con la scusa di comprare qualcosa, mentre il proprietario si affannava a servirli, soffiavano sulla fiammella, proferendo un "buona notte, sor Lagnoni!" che per lunghi anni è rimasto proverbiale quando mancava la corrente.
I portoni ospitavano venditori di «seme e nocciole» (sic!) che, a Carnevale, aggiungevano al commercio abituale, coriandoli, stelle filanti, maschere, e certe infernali trombe di cartone, che i ragazzini suonavano a perdifiato, preferibilmente nelle orecchie degli sprovveduti passanti.
In proposito, prima di terminare questa via, ci piace ricordare un vecchissimo scherzo, che potrà dimostrare la levità di pensiero di quei tempi.
Verso la metà della via Grande – lato mare — si apriva, fino alla seconda metà dell'ottocento, un negozio di ferramenta, che apparteneva a certi Lagnoni. Molto benestanti, ma tenacemente attaccati alle tradizioni, non avevano voluto sapere né di gas, né di elettricità: illuminavano il negozio, alla sera, con una lucerna a olio.
Alcuni ragazzettacci di quei tempi — colpiti da tanto sfarzo! — si misero d'accordo per riportarli verso il progresso e – quasi ogni sera, appena si accendeva la famosa lucerna — entravano in negozio. Con la scusa di comprare qualcosa, mentre il proprietario si affannava a servirli, soffiavano sulla fiammella, proferendo un "buona notte, sor Lagnoni!" che per lunghi anni è rimasto proverbiale quando mancava la corrente.
Piazza Vittorio Emanuele (l'attuale Piazza Grande) |
In piazza Grande i negozi erano più rari: e principalmente consistevano in caffè, pasticcerie e simili. Più frequenti — come del resto anche adesso — di fianco al Duomo. Nella piazza sorgevano fra i caffè — la « Vittoria » (dove si giocava al biliardo, e si parlava molto di politica) e, più popolari, l'"Ussero" ed il "Risorgimento": questi due ultimi molto frequentati, in inverno, da pacifiche coppiette di anziani coniugi, che cercavano di rimediare con il «poncino» ed il tepore dell'ambiente, al gelo delle troppo modeste, squallide dimore. Vicino alla «Vittoria» c'era la pasticceria Salimbeni, accanto all'Ussero sorgeva la cereria Graziani, ritrovo abbastanza frequente di reverendi che venivano a comprarvi la cera per la Chiesa.
Oltre all'«Arrigutti» e al «Diacciaio», pochi altri negozi, uno di timbri e di accessori d'ufficio di Podestà, un negozio di drapperie di Natale Onorati prima, di Tanzini poi, un fioraio, un negozio di cappelli ed uno di scarpe, la vetreria Bertoletti e la cereria Mei, abbiamo elencato quasi tutti i negozi (ormai tutti scomparsi, insieme ai loro proprietari!) della nostra maggiore piazza.
Oltre all'«Arrigutti» e al «Diacciaio», pochi altri negozi, uno di timbri e di accessori d'ufficio di Podestà, un negozio di drapperie di Natale Onorati prima, di Tanzini poi, un fioraio, un negozio di cappelli ed uno di scarpe, la vetreria Bertoletti e la cereria Mei, abbiamo elencato quasi tutti i negozi (ormai tutti scomparsi, insieme ai loro proprietari!) della nostra maggiore piazza.
Piazza Carlo Alberto (l'attuale Piazza della Repubblica) |
Ritorniamo in via Grande, sia pure senza la pretesa di elencarne tutti i negozi. Della via Grande «di terra» ricordiamo il caffè della Posta (dove ora c'è il Lazzeri),
il « Nettare » - ritrovo degli adoratori di... Bacco! – e qualche altro bar, tuttora — forse — esistente, magari in mano di altri proprietari. La cappelleria Dani, il negozio di articoli di Gomma del Diara, alcuni saloni di parrucchiere, oltre al negozio di mode di Guerrieri, quello di giocattoli di Pecchinotti, l'altro del Chiesa, l'Albergo Giappone e possiamo dire di averne ricordato un buon numero.
Piazza Tellini, all'inizio dell'attuale Via Grande (lato mare) |
Dal lato mare: la gioielleria Caracciolo, il negozio di drapperie e stoffe per camiceria dei Pazzi (dove, nel tardo pomeriggio, erano soliti sostare alcuni vecchi gentiluomini, donde il soprannome loro affibbiato: la "congiura dei Pazzi"!), il piccolo Bar Hemmy – dove molti uomini di affari andavano, verso le 17, a bere il caffè, per poi tornare in ufficio — il giocattoliere Chelucci, il negozio di mode di Emma Guida. E poi tanti, tanti altri: dimenticavo la gioielleria Ciuti, anch'essa molto ben quotata ed il negozio Kotzian, tuttora esistente.
Questo da un lato. Dall'altro, le mode di Fausto Bertoletti — che aveva un altro grande negozio di fianco al Duomo — il negozio di orologeria Brugger, le seterie della «Città di Como», il grande negozio Doberti (dove si vendevano prodotti inglesi di ogni genere, come in passato veniva fatto — sempre in via Grande — da Dunn e Malatesta) l'albergo Campari, la cappelleria Peona di Galeazzi, la sartoria Balducci, il già ricordato negozio Lagnoni, l'ottica di Ciampi (dall'altra parte c'era quello di Bolaffi) infine la pasticceria Torricelli, la ditta Rocco (articoli di gomma) la birreria Butazzi.
In via Grande «di terra » era molto conasciuta la pasticceria Bezzola — sull'angolo di piazza Guerrazzi — mentre dal lato mare, imperava Chiolero: dove, specialmente alla domenica, dopo la messa di mezzogiorno in Duomo, era solita radunarsi buona parte della borghesia e delle « forze armate » livornesi.
Questo da un lato. Dall'altro, le mode di Fausto Bertoletti — che aveva un altro grande negozio di fianco al Duomo — il negozio di orologeria Brugger, le seterie della «Città di Como», il grande negozio Doberti (dove si vendevano prodotti inglesi di ogni genere, come in passato veniva fatto — sempre in via Grande — da Dunn e Malatesta) l'albergo Campari, la cappelleria Peona di Galeazzi, la sartoria Balducci, il già ricordato negozio Lagnoni, l'ottica di Ciampi (dall'altra parte c'era quello di Bolaffi) infine la pasticceria Torricelli, la ditta Rocco (articoli di gomma) la birreria Butazzi.
In via Grande «di terra » era molto conasciuta la pasticceria Bezzola — sull'angolo di piazza Guerrazzi — mentre dal lato mare, imperava Chiolero: dove, specialmente alla domenica, dopo la messa di mezzogiorno in Duomo, era solita radunarsi buona parte della borghesia e delle « forze armate » livornesi.
l'attuale Via Grande con Piazza della Repubblica sullo sfondo |
Con un buon numero di « saloni», profumerie, bars, e attività varie, possiamo chiudere la via Grande. Ma prima di farlo, non vogliamo dimenticare una « curiosità », anzi due. Ci riferiamo ad un grande negozio della via Grande «di terra» che sorgeva vicino al «Giappone», negozio dalle amplissime vetrine, ricolme delle più venerabili antichità, in fatto di mode. Reggipetti – coperti di polvere — provvisti di un cartoncino, con scritto a mano "ultima moda Lt. 2,25", mutandoni e camicie da notte dei tempi della bisnonna, colletti altissimi, secondo la moda di d'Annunzio giovane. Al principio dell'estate, venivano aggiunti — infilati su strani omuncoli di cartone, ritagliati e dipinti a mano con lapis colorati — costumi da bagno «da uomo», provvisti di mezze maniche e mutandine, tessuti in righe trasversali dei più vivaci colori.
Poco lontano, un secondo negozio: questo di tessuti. In una vetrina non certo rutilante di luci, esponeva — insieme alle stoffe – certi cartelli, dove la figlia del proprietario aveva schizzato alla brava, su fondi di scatola, e valendosi dei soliti pastelli colorati, alcuni personaggi più o meno credibili, dalle bocche dei quali uscivano «fumetti » esaltanti la bontà della merce e la convenienza dell'acquisto.
E lasciato quello che chiameremo il « vecchio centro », scendiamo a sud, verso il « nuovo ».
In via Cairoli, sull'angolo di piazza Cavour — dov'è il palazzo del Banco di Roma — merita un particolare ricordo quello che fu il centro dei "macchiaioli" livornesi: il caffè Bardi, dove – nelle sale ornate da dipinti grandi e piccoli di quelli che dovevano poi essere, post mortem!, acclamati quali maestri — si riunivano gli « artisti »: pittori, scultori, commercianti di quadri, e « aficionados ». Non credo che il proprietario ne ricavasse lauti guadagni: la bohéme imperava anche a Livorno, ed era già molto se qualcuno ordinava un caffè.
Il Caffè Bardi |
D'estate, la clientela si trasferiva all'aperto, sotto una grande tenda che prendeva il fianco del palazzo, in piazza Cavour. Le consumazioni aumentavano di... bicchieri d'acqua, reclamata gelata, naturalmente gratis.
Sempre in piazza Cavour, il caffè « Folletto » – rinnovato da qualche anno, dopo un lungo intervallo — poi il caffè-bar-pasticceria Corradini – poi Ambrosini – che sorgeva dove ora è il bar Cavour, aveva accanto una succursale per le roschette, i bollini, i « kranz» e — a Quaresima – i celeberrimi panini di ramerino, all'olio ed allo zucchero.
Per questi ultimi, è doveroso ricordare la « specialità » che ne faceva la ditta Pacini: panetteria e pasticceria, sita in via Ricasoli, vicinissima a piazza Cavour: di fronte, fino al 30, la pasticceria e «tea room» di Hemmy poi trasferita in piazza Cavour, nel Palazzo Rosso. Quest'ultimo era il ritrovo dei giovani della « buona società »: ed a proposito, trascrivo un epigramma, che venne coniato in quei lontani tempi: «Orazzini, negozio di centro – i salami li tiene di dentro: ed Hemmy, che vende i liquori — i salami li tiene di fuori... » (Orazzini era una dei più quotati salumieri livornesi).
Per questi ultimi, è doveroso ricordare la « specialità » che ne faceva la ditta Pacini: panetteria e pasticceria, sita in via Ricasoli, vicinissima a piazza Cavour: di fronte, fino al 30, la pasticceria e «tea room» di Hemmy poi trasferita in piazza Cavour, nel Palazzo Rosso. Quest'ultimo era il ritrovo dei giovani della « buona società »: ed a proposito, trascrivo un epigramma, che venne coniato in quei lontani tempi: «Orazzini, negozio di centro – i salami li tiene di dentro: ed Hemmy, che vende i liquori — i salami li tiene di fuori... » (Orazzini era una dei più quotati salumieri livornesi).
I RISTORANTI
Il famoso risorante "La Tazza d'Oro" |
Un brevissimo cenno a parte, specialmente di quelli scomparsi prima e durante l'ultimo periodo bellico. Fra i primi, la «Tazza d'Oro» — angolo via Grande, e via Piave, sostituito dall'Unione Militare: il «Falchetto sotto i portici del Pieroni, in piazza Grande: il Parlanti ad un primo piano, nella via Grande lato mare, vicinissimo a piazza Grande.
l'attuale Via Grande, angolo Piazza Guerrazzi |
Scomparvero per i bombardamenti il « Giappone » — adiacente all'albero monimo, e fra i più ben quotati — il Chianti in via del Fante — specializzato in mondanità... notturna, dato che vi consumavano più o meno laute cene (a seconda della generosità dei non molto frequenti ammiratori) le "vedettes" del vicinissimo e già citato cinema teatro Lazzeri. E, nelle altre zone della città, le «Casine» — rossa e verde — sul porto, il "Tramvai" di via del Giardino (ora Fiume)
Via Fiume con i suoi negozi e l'Ospedale. |
la "Rondinella" in piazza Cavour, all'inizio di via Verdi, la "Frusta" di corso Amedeo. E chissà quanti altri, che ormai sfuggono alla nostra vecchia memoria.
In compenso, ne sono sorti una miriade di nuovi: purtroppo, non si può certo sperare, come una volta, di pranzare o cenare con una spesa che variava fra le tre e le cinque lire, con punte — per i locali più rinomati — che arrivavano a dieci lire (ma per arrivare a tanto, bisognava essere forti mangiatori!!!).
In compenso, ne sono sorti una miriade di nuovi: purtroppo, non si può certo sperare, come una volta, di pranzare o cenare con una spesa che variava fra le tre e le cinque lire, con punte — per i locali più rinomati — che arrivavano a dieci lire (ma per arrivare a tanto, bisognava essere forti mangiatori!!!).
Molto interessante. Grazie.
RispondiEliminaGrazie a lei.
EliminaBuonasera! Per motivi di studio sono interessato a qualsiasi informazione sulla Latteria Ceccardi e sulla Confetteria Chiolero di Via Grande. Grazie. (marcobaccini@outlook.it)
RispondiEliminaslave, complimenti per questo lavoro. Le ho scritto una mail. Sto cercando delle foto di un drogheria attiva in fuori Barriera Garibaldi fino agli anni 20 del secolo scorso. Il nome era Drogheria A. Lanfranchi e&. Grazie mille e saluti
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