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LA CATTEDRALE DI SAN FRANCESCO (DUOMO DI LIVORNO)

La cattedrale di San Francesco


Passeggiando per la Via Grande, a metà strada, ci troviamo davanti al "Duomo". Quando, anni fa, venni ad abitare a Livorno rimasi colpita da un'espressione molto comune: "ma vai in domo!". Mi ci è voluto un po' di tempo per capirne il significato.
Vorrei ripercorrere con voi la sua storia e comprenderne l'evoluzione, collegata alla devastazione degli eventi bellici. Nel fotografare e ricercare quanto ne è rimasto, sono rimasta piacevolmente sorpresa. Il fine di questo breve articolo è quello di guidarvi alla riscoperta di un tanto prezioso scrigno.
Come da mia abitudine, cercherò di mettermi da parte, lasciando parlare chi ha visto sorgere il monumento e lo ha visitato nel suo percorso temporale.
Buona lettura.


Interno del Duomo
Piombanti: "La Cattedrale di Livorno, per la piazza in cui si trova e per la presente città, è veramente sproporzionata, ma di ciò non è in colpa né Ferdinando I, né l'architetto di lei, imperocché essi non avranno neppure immaginato che la piazza sarebbe stata raddoppiata e la popolazione dieci volte moltiplicata.
Anzi al detto granduca sembrò allora troppo vasta, e disse al Pieroni vedendola cominciata: O che credevi di fare il Duomo di Firenze? Ma questi saviamente rispose: Altezza le opere pubbliche non son mai troppo grandi. È stato scritto che Francesco I nel 1581 la cominciò, e Ferdinando suo successore la condusse a termine. Sembra più probabile però che Francesco gettasse in detto anno le fondamenta d'una Chiesa maggiore, o in questo luogo o non lungi da esso, la quale fu poi abbandonata dal fratello per dar principio alla presente in più ampia forma nel 1594, come chiaramente si rilevava dalla iscrizione posta nella sua facciata (ora abbreviata o scorretta): Ferdinandus Med. Magnus Dux Etruriae III a fundamentis erexit. Alessandro Pieroni fiorentino ne fece il disegno, Antonio Cantagallina lo eseguì. Il 19 Aprile 1595 venne benedetta e vi si disse la prima Messa; quindi Galeotto Balbiani pievano a S. Antonio continuò ad ufiziarla. Fu consacrata solennemente e dedicata a S. Francesco d'Assisi il 19 Febbraio 1605 da mons. Antonio Grimani, nunzio pontificio a Firenze, presenti il granduca, la sua famiglia e la corte, come da iscrizione posta sopra la statua del vescovo Gavi.
Non ebbe in principio né le due grandi cappelle, né quella del Battistero, né la tribuna, né il campanile che ha ora. Nel luogo di questo eravene uno a ventola, in cui furon poste. nel 1607 due belle campane del secolo XIII, tolte alla badia S. Savino del pian di Pisa per ordine di Ferdinando I. Abbattuto il vecchio nel 1317, si fini, dopo tre anni, la torre presente da Gaspero Pampaloni, alta metri 50 e fornita di cinque armoniose campane.
Note: Nel vecchio campanile era un marmette con questa iscrizione conservata nel nuovo : Jesus Xrs rex venìt in pace. Deus nomo factus est, et Verbo in caro factum est, et habitavit in nobis. Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus Sabaoth.
I fondamenti del campanile presente esistevano fino al tetto sin dall'erezione della Chiesa. Per far le nuove campane Ferdinando III donò nel 1822 diecimila libbre di bronzo in piccoli cannoni ; altro metallo si dette in offerte a Livorno, più le due campane vecchie II nume ed il peso delle medesime sono come segue: Madonna di Montenero, chilogrammi 2021; s. Giulia, chilog 1305; S. Francesco, chilog. 013; S. Vigilia e Fortunata, chilog. 783; S. Firmina e S. Anna (patrona la prima dei Canonici, la seconda dei Cappellani, chilog. 316; campanella chilog. 76 Furon fuse a Prato nel 1823 da Santi Gualandi nell'Agosto dell'anno stesso si misero al posto, e la vigilia dell'Assunta rallegrarono per la prima volta i Livornesi. - Quanto a S. Firmina vergine e martire protettrice dei naviganti, il Capitolo ebbe in dono una sua reliquia dal predicatore quaresimale della Collegiata nel 1735e si cominciò a farne la festa ai 24 Novembre Eretta la Collegiata in Cattedrale, fu dichiarata patrona del Capitolo , il quale ottenne pure di farne l' ufizio.
Narra il Santelli, e tutti gli altri dopo di lui, che Inigo Jones, allievo di Giovan Bologna, fece nel 1605 il peristilio a colonne binate d'ordine dorico, armonizzante coi loggiati della piazza, ma sembra sia dello stesso Pieroni. Nel 1663 venne collocato sopra la sua facciata un orologio pubblico, in mezzo a due scartocci, che vi rimase fino al 1856 in cui la facciata medesima ed il peristilio cominciarono ad esser rinnovati. Allora un orologio fu posto ai Tre Palazzi finché, nel Maggio 1872, Giovanni Campazzi da Novara ne collocò il nuovo nel campanile, d'onde con ingegnoso meccanismo muove le lancette delle due mostre di cristallo, del diametro di metri 2,75, nelle opposte parti del Duomo, distanti l'una dall'altra metri 61.
Urbano VIII il 31 Luglio 1629 la dichiarò Collegiata, ma alla bolla pontificia si dette esecuzione dall'arcivescovo di Pisa e dal granduca Ferdinando II il 23 Gennaio 1632. E proposto Sebastiano Cellesi ottenne nel 1727 dal pontefice Benedetto XIII che la Collegiata di Livorno fosse aggregata alla basilica Lateranense, e che in quella si potessero lucrare tutte le indulgenze a questa da diversi papi concesse. Pio VII la inalzò a sede vescovile nel 1806.
Il tempio, a croce latina, non è di cattiva architettura; bello particolarmente è il suo ricco soffitto, nella cui ampiezza pochi ve ne ha che lo uguaglino; lo intagliava Vincenzo Dell'Imperatore, e n'eseguiva la doratura Calisto Fasconi nel 1610. In esso, sulla porta maggiore, si legge: Ferdinandus Magnus Dux Etruriae III aedificavit anno Domini MDCIIII; all'opposta parte: Cosmus filius ne quid aut operis magnificentiae, aut tanti Patris gloriae deesset, elegantiori tegumento illustravit. Vi si ammirano tre grandi e buoni quadri: il trionfo di S. Giulia, ben colorito da Jacopo Ligozzi veronese, nel quale gli angioli sostengono la croce del suo martirio ; l' Assunzione di Maria di Domenico Oresti da Passignano, opera molto lodata per la composizione e per l' esatta osservanza delle regole del sotto insu, e S. Francesco d' Assisi che accoglie il bambino Gesù dalla Madonna di Jacopo Chimenti da Empoli, che fu uno dei migliori coloritori della scuola fiorentina. Quello di mezzo è circondato da quattro minori dipinti rappresentanti : S. Cosimo e Damiano, S. Sisto papa e S. Lorenzo martire, S. Sebastiano, ed il Trionfo di S. Vigilia, lavori di Giovan Battista Brazzò detto il Bigio, discepolo del Chimenti".
Ho trovato una descrizione più accurata del soffitto, fatta dall'abate Francesco Fontani:
"Nell’alto del soffitto riccamente intagliato e dorato si ammirano tre grandi sfondi interstiziatida altri quattro più piccoli, che accrescono lustro e decoro alla magnificenza del Tempio.


Nel primo, che è presso la porta maggiore, Jacopo Ligozzi rappresentò il felice Trionfo di S. Giulia, Protettrice di Livorno. che con la sua intrepida costanza nella fede, avendo superato la barbarie dei carnefici, e lasciata la vita frai tormenti , gloriosa sale al Cielo per ricevervi la palma della riportata vittoria. La Santa è nobile nelle forme, vaga nel colorito, agile e leggiera, e si in essa, come nelle molte figure che vi sono espresse è maraviglioso l'effetto dei lumi e dell’ombre sagacemente accordate.
Anco l’Assunzione della Vergine Madre rappresentata nella Tela di mezzo, Opera di Domenico Passignani, mostra la virtù ed eccellenza dell’Artista;


non meno che il S. Francesco (celebrato lavoro di Jacopo da Empoli) merita lode per la sua bellezza, essendo naturalissima e piena di grazia la mossa del Santo nell’atto di ricevere in fra le braccia il Bambino Gesù, che gli vien presentato con dolce, ed amabile maniera da Maria, le cui forme sono divine.
In uno dei quattro minori sfondi furono effigiate le Sante Cristina e Fortunata da un certo Buonaiuta, con vivezza di colorito; la S. Maria Maddalena portata in aria dagli Angeli, ed espressa nel secondo, fu colorita da Jacopo Vignali, allievo di Matteo Rosselli, 

ed i Santi Cosimo e Damiano, egualmente che il S. Ferdinando, ed il S. Lorenzo , rappresentati nel terzo e nel quarto furono condotti da un certo soprannominato il Bigio, Scolare di Jacopo da Empoli. 

Benchè non abbiano queste minori Tele il merito di precisione , e di bellezza che ammirasi nelle già descritte più grandi, 

pure concorrono anch’esse a rendere e pregiato e brillante il soffitto, ed è da desiderarsi che anche i quattro specchi, i quali mancano in esso delle imaginate pitture degli Evangelisti, che si era già destinato di situavvi, vengano ripieni di qualche bel monumento dell’ arte a lustro maggiore di questo grandioso ragguardevole Tempio.

Questi capolavori sono giunti a noi, grazie a chi, sotto la guida di Piero Sampaolesi, ha messo in salvo le opere e i monumenti di Livorno. Vi rimando all'articolo completo:Il salvataggio dei monumenti livornesi

"Filippo Baldinucci, nelle Notizie dei Professori del disegno, a proposito di quest'opera del Passignano, racconta il seguente aneddoto: Fecene egli prima un bel modello. e lo portò al granduca, il quale volle che fosse veduto da pittori diversi, fra' quali ebbe luogo Cristofano Allori, di cui possiamo dire non avere avuto la nostra patria uomo di più perfetto gusto in genere di colorito. Dovendo egli dir suo parere intorno al modello della tavola, biasimò l'attitudine della figura di S. Tommaso. Occorse poi un giorno, che discorrendo il granduca sopra il modello col Passignano, alla presenza di Cristofano, disse qualcosa della difficoltà che lo stesso Cristofano aveva avuto sopra quella figura; allora Domenico cavatosi di tasca il gesso, lo presentò a Cristofano, dicendo: Di grazia fate voi come fareste quella figura ; ma perché egli ricusò ili pigliarlo, il Passignano allora lo disegnò in quattro o cinque maniere diverse , e feceli vedere, che per far che ella scortasse bene di sotto in su, come doveva esser veduta in opera, non potevasi né dovevasi, secondo le buone regole di prospettiva, fare altrimenti di quello che egli fatto aveva. Non fermaron qui i dispiaceri del nostro artefice per questa tavola, perché finita che ella fu, come che ell'era vista ritta in piombo, e fuori della sua veduta, che doveva esser di sotto in su, ognuno la biasimava, ma posta che ella fu al suo luogo, fece stupire tutti i professori dell' arte".
"A dritta di chi entra è il monumento del marchese Marco Alessandro Del Borro, già governator di Livorno, fatto da Giovan Batista Foggini. Alcuni putti alzando un drappo di bardiglio nero, scuoprono il Tempo scrivente sul libro della storia, ed un guerriero presso una tomba che sostiene il somigliante ritratto del generale. L'altare che segue era sacro al Batista; aveva un'eccellente tela del cav. Lodovico Cardi da Cigoli esprimente S. Giovanni che battezza il Salvatore, la quale essendo stata danneggiata, fu tolta e andò perduta, per colpa di chi doveva conservarla. Quindi , per decreto dell' arcivescovo nostro, l' altare si dedicò a S. Anna , patrona dei cappellani, vi si pose il quadro di lei, che prima era appeso nella cappella della Concezione, e il 2 Marzo 1806 celebrossene solennemente l' inaugurazione.

Monumento Funebre del Marchese del Borro

Segue il busto e l'iscrizione al marchese Carlo Ginori governator di Livorno. Sull'altro altare è un'opera del Passignano rappresentante l'Assunzione di Maria Vergine, tra le melodie dei celesti comprensori.

Tomba del marchese Carlo Ginori (1702 - 1757)

Il Crocifisso e i cinque santi - Francesco Curradi ispirato ad un episodio risalente all'anno 1622, quando il papa Gragorio XV canonizzò 5 santi in un solo giorno: Teresa d'Avila, Ignazio di Loyola, Francesco Saverio, Filippo Neri e Isidoro

Altare dell'Assunta fatto costruire da Bernardetto Borromei nel 1600. Il dipinto è di Pietro Sorri (1556-1622), discepolo del Passignano.




Poi s'incontrano: il monumento al primo gonfaloniere della nostra città Bernardetto Borromei,nel cui busto si legge: Cosmus M. D. E. IIII ponimandavit A. D. 1610; l'immagine del governatore


 

Busto del cavaliere Biago Pignatta, consigliere di Ferdinando I dei Medici, qui sepolto dal 1603. Gran benefattore, fece costruire a sue spese il fonte battesimale, il pulpito e due altari. L'iscrizione al cav. Biagio Pignatta, il quale, oltre al fonte battesimale, fece a sue spese il pulpito, le due grandi pile dell'acqua santa , e i due ultimi altari ornati del suo stemma gentilizio; in fine l'arme di famiglia coll' iscrizione al barone Carlo Francesco Wachtendonck, comandante supremo delle truppe imperiali in Toscana, al tempo di Francesco II, morto nel 1740.




Della cappella dedicata alla Concezione di Maria posero la prima pietra il 7 Dicembre 1727, e si finì dopo undici anni, col disegno di Giovan Batista Del Fantasia, ma in istato greggio.
Antonio Damiani, la cui famiglia, al principio del secolo XVI, dette un parroco e cronista al nostro castello, fece l'altare di buoni marmi nel 1745, e ci pose il ben intuonato quadro di Giuseppe Bottani da Pontremoli esprimente l'Immacolata, d'uno stile che rammenta la maniera di Carlo Maratta; detto Antonio v'è pur sepolto. Chiusa nel 1807, cinque anni dopo la riaprirono, ridotta alla forma presente dall'architetto Riccardo Calocchieri, con pubbliche elargizioni. Nella calotta, frescata da Luigi Ademollo milanese, è la presentazione di Maria al tempio, lavoro di decorazione, già guasto in molte sue parti. I peducci hanno quattro fatti del paradiso terrestre, e le lunette figure di profeti a chiaro scuro del medesimo artista.
L'immagine della Madonna di Montenero, che è in sagrestia, fu per molti anni sull'angolo tra Via del Giglio e Via dei Cavalieri, in un tabernacolo chiuso a due chiavi; il 2 Settembre 1796 si sparse voce che da per se si fosse aperto. Trasportata in Duomo, per desiderio del popolo, ed esposta alla pubblica venerazione, stette qualche tempo nella cappella del proposto, e poi la posero qui.

 
Cappella della Madonna. Sopre auesto altare è collocata una riproduzione dell'immagine della Madonna di Montenero. patrona di Livorno. Nel XVII secolo il dipinto era collocato in un tabernacolo all'angolo tra Via del Giglio e Via dei Cavalieri.
Nel Viaggio Pittorico della Toscana dei fratelli Terreni, vol II. stampato nel 1800, così si parla di questo quadro: “Vedesi la sorprendente tavola del S. Giovanni Battista opera un tempo maravigliosa del cav. Lodovico Curdi Cigoli, esprimente il battesimo (li Gesù Cristo, dove diversi angioli tengono in mano dei panni lini, ed in lontananza si vedono delle figure che bagnatisi nel Giordano. La veduta della campagna è bellissima, nobile è il carattere del Salvatore e del santo, graziosi sono i gruppi, se non che l'inesattezza dei custodi, per la troppa approssimazione delle fiaccole al quadro, avendo portato nocumento al medesimo, ed alcuno avendo preteso di racconciarlo con ritocchi e vernici , lo ha si fattamente bruttato , che appena più serba alcuna idea della sua prima bellezza
Il Battistero. Situato accanto all'altare della Madonna, costruito nel 1716 e non danneggiato dai bombardamenti della seconda guerra modiale. Conserva intatte le decorazione degli stucchi, in stile barocco. La tela "Il battesimo del Signore" è opera di Gherardo Ferri.
La contigua cappelletta è dedicata al Battista, e la fecero nel 1756; contiene la vasca battesimale, dono del cav. Biagio Pignatta, che intorno abbreviata ha questa iscrizione: Blasius Pignatta imolensis, divi Stephani eques , prior Lunensis , magni ducis Ferdinandi cubicularius, sacrum fontem baptismatis aere suo faciendum curavit , anno salutis 1601. Essa, avanti d'esservi trasportata, stette fra l'altare dell'Assunta e quello di S. Giovanni (ora di S. Anna). Il quadro rappresentante il battesimo del Salvatore, è pregevole lavoro di Gesualdo Ferri discepolo di Tommaso Gherardini; lo regalò il proposto Filippo Venuti. Il piccolo dipinto sulla porta che mette alla sacrestia, è una Sacra Famiglia attribuita a torto ad Andrea Del Sarto.
Particolare del Battistero
Antonio Damiani, la cui famiglia, al principio del secolo XVI, dette un parroco e cronista al nostro castello, fece l'altare di buoni marmi nel 1745, e ci pose il ben intuonato quadro di Giuseppe Bottani da Pontremoli esprimente l'Immacolata, d'uno stile che rammenta la maniera di Carlo Maratta; detto Antonio v'è pur sepolto. Chiusa nel 1807, cinque anni dopo la riaprirono, ridotta alla forma presente dall'architetto Riccardo Calocchieri, con pubbliche elargizioni. Nella calotta, frescata da Luigi Ademollo milanese, è la presentazione di Maria al tempio, lavoro di decorazione, già guasto in molte sue parti. I peducci hanno quattro fatti del paradiso terrestre, e le lunette figure di profeti a chiaro scuro del medesimo artista. Sui confessionari son quattro dipinti di Tommaso Gazzarrini: a destra, la beata Margherita Maria Alacoque, propagatrice della devozione al Cuor di Gesù, alla quale appare il Salvatore,
Il Sacro Cuore appare a Margherita Alacoque (Tommaso Gazzarrini). La santa è ritratta senza aureola, perchè fu canonizzata dopo la morte del pittore.
poi la tra sfigurazione sul Taborre;
La trasfigurazione di Gesù (Tommaso Gazzarrini 1790-1853) Gesù è ritratto tra i profeti Elia e Mosé. Manifesta la sua divinità agli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni.
a sinistra, il riposo della Sacra Famiglia, fuggente in Egitto,
Riposo dalla fuga in Egitto della Sacra Famiglia (Tommaso Gazzarrini)

 e l'istituzione della divina Eucarestia.



Sulle porte vedonsi i ritratti e gli epitaffi dei due Spannocchi Francesco e Giovanni, padre e figlio, che furono governatori di Livorno. Qui è sepolto Tiberio Scali celebre naturalista livornese.
L'immacolata Concezione (Giuseppe Bottani 1717-1784) Dipinto ispirato all'Apocalisse: la Vergine con la luna sotto i piedi e il capo coronato da 12 stelle, mentre schiaccia la testa al dragone.


Il bello altar maggiore, ricco di pregevoli marmi, lavorati nella galleria di Firenze, in cui sono due graziose teste d'angioletti del celebre fiammingo Francesco di Quesnoy, fu fatto nel 1766. Sotto il quale son le reliquie di S. Fortunata martire, trovate a Roma nel cimitero di S. Priscilla, e donate alla nostra Chiesa dalla granduchessa Maria Maddalena, moglie di Cosimo II, nel 1614.
A destra è una bella tela pel disegno, colorito e composizione, del prof. Giuseppe Bezzuoli di Firenze, esprimente S. Francesco d'Assisi che risuscita, in mezzo alla sua famiglia, un annegato nel fiume Nera presso la città di Narni; l'autore si propose in essa d'imitar la maniera dei Caracci di Bologna; in faccia si vede la traslazione del corpo di S. Giulia a Brescia, ricevuto dal re dei Longobardi Desiderio e dalla sua figlia Angelberga, opera del valente nostro concittadino Tommaso Gazzarrini.
II quadro del Bezzuoli fu posto nel 1832. quello del Gazzarrini due anni dopo; costarono franchi 4704 l'uno. Quanto al trasporto del corpo di S. Giulia del prof. Gazzarrini, è da sapere che il suggello non incontrò il gradimento dell' autore e che egli mandò da Venezia alla commissione dell'Opera del Duomo di Livorno il bozzetto d'un'altra sua invenzione, esprimente il martirio di detta santa, posseduti) presentemente dal Sig. Doli. Francesco Varnacci Marubini. Dietro il telaio di esso si leggono le seguenti parole autografe del Gazzarrini: « Questo è il bozzetto da me replicato dopo quello già presentato a quell' ignoranti che componevano la Direzione dell' Opera della Cattedrale di Livorno ai quali non piacque, che fu poi eseguito per commissione del Sig. Drumond di Londra, assai meglio di questo composto, e che dopo due anni delle più crudeli angherie fu sostituito a questo soggetto quello del trasporto del corpo di S. Giulia, che esiste adesso nella Cattedrale di Livorno”. Il lamento del prof. Gazzarrini sembra diretto contro il mal vezzo di taluni, che credonsi di buon gusto, di cotradire gli artisti nelle loro ispirazioni.
Fino al 1763 il coro della Collegiata finiva all'arco dietro l'altar maggiore, ed in esso Agostino Tassi nel 1602 aveva dipinto braccia 68 di fregio; per ingrandire il coro e le abitazioni laterali, venne costruita la tribuna, in cui Tommaso Gherardini colori maestrevolmente la Trasfigurazione (1765)



Il proposto Baldovinetti vi pose a sue spese nel 1787 Mosè che mostra al popolo ebreo le tavole della legge, ed il sacrifizio d'Abramo, dipinti dal romano Francesco Pascucci.
La cappella del Santissimo ebbe principio il 2 Giugno 1706, per opera dell'architetto Giovanni Del Fantasia. L' altare, le statue, gli ornati, il balaustro, son lavori del conte Giovanni Baratta da Carrara, fatti a spese di Francesco Vincenti nel 1720, il quale ivi presso è sepolto ed a cui alludono le parole sotto lo stesso altare scolpite.
La notte del 9 Marzo 1795 vi rubarono due pissidi con ostie consacrate; il 12 vennero consegnate al proposto di S. Sebastiano, donde con gran festa l'arcivescovo di Pisa le riportò processionalmente al loro posto. Dopo questo furto, cresciuta la devozione dei Livornesi, finirono ed abbellirono la cappella, com'è al presente, col disegno di Giuseppe Salvetti (1798). Il nostro Giuseppe Maria Terreni colorì a buon fresco, nella sua calotta, un'angelica gloria sollevante l'ostia ed il calice, in mezzo ad una viva luce che tutta la illumina. Gli angelici spiriti leggiadramente dipinti, fan conoscere ai risguardanti la riverenza e l'amore da cui sono compresi, dinanzi a si augusto mistero, e par l'invitino con grazia ad imitarli.
La cappella del Santissimo Sacramento, con il famoso dipinto del Beato Angelico "il Cristo coronato di spine". Dipint, con altra probabilita, nel 1438. Un vero capolavoro che coglie la passione di Cristo, in un volto che mantiene tutta la sua regalità

Il bozzo originale di questo dipinto è nella stanza della Congregazione degli Assistenti al SS. Sacramento, donatole dal prelodato Sig. Dottor Francesco Varnacci Marubini, il quale ne ha un altro disegno, a penna ed acquarello, dello stesso autore. In questo vedesi sostenuta dai serafini la sacra pisside, che nella pittura della cappella fu sostituita dal calice. Si giudicò conveniente questa variazione, perché la pisside avrebbe rammentato il doloroso avvenimento del furto sacrilego sopra mentovato. Dello stesso pittore sono nei peducci: la fede, la speranza, la carità, la religione, e le quattro tele sui confessionari che rappresentano: S. Ambrogio e S. Agostino a destra, S. Girolamo e S. Gregorio Magno a sinistra.

San Girolamo (Giovanni Maria Terreni 1739 - 1811). Padre della Chiesa e traduttore della Sacra Scrittura in lingua latina.Con lo sguardo rivolto verso lo Spirito Santo ed intento nella sua opera di traduzione.


Sant'Ambrogio (Giuseppe Maria Terreni)

Sant'Agostino (Giuseppe Maria Terreni)

San Gregorio Magno







Proseguendo il giro della Chiesa si vede la statua in marmo di mons. Girolamo Gavi, fatta dal livornese Vincenzo Cerri, a spese d'una deputazione di cittadini, messa al posto nell'anno 1873.
Quindi s'incontrano: il busto e l'epitaffio del conte Federigo Barbolani da Montanto, governator di Livorno; l'altare del Crocifisso con ai piedi cinque santi, opera pregevole e devota del cav. Francesco Curradi fiorentino;Questo altare lo eresse e dotò Niccolò Carducci, il quale è sepolto sotto il medesimo; era dedicato a S. Pietro apostolo, come lo attestano due iscrizioni che vi si leggono, ed aveva un eccellente quadro di detto santo, fatto trasportare nella galleria Pitti da Pietro Leopoldo (dicono), il quale mandò in cambio quello che e' è adesso. Interrogato a tal proposito il sig. ispettore della detta galleria , mi rispose gentilmente esservi un quadro di Guido Reni, rappresentante S. Pietro in ginocchio che piange, rivolge gli occhi al cielo e tiene le braccia aperte, un raggio lo illumina, e dietro è il gallo che canta; di tal quadro, aggiungeva, ignorasi affatto la provenienza. Sia desso il bel Detto altare, dedicato a S. Gregorio magno , fu donato nel 1601 alla compagnia della Misericordia dal cav. Biagio Pignatta. Essa lo uffiziava, poteva seppellire i suoi defunti fratelli nella tomba aperta ai suoi piedi, ed i cavalieri di S. Stefano in quella dello stesso Pignatta, presso l' altare che gli sta dinanzi.
L'effigie e l'iscrizione del benemerito mercante livornese Pietro Sardi, morto nel 1763, il quale lasciò il patrimonio al Comune, affinchè colle sue rendite mantenesse una cattedra di filosofia razionale, ed una di teologia dommatica nel collegio di S. Sebastiano, desse un annuo sussidio all'istituto del Paradisino, e tre posti di studio pei Livornesi all'università di Pisa; l'altro altare, pel quale il cav. Passignano dipinse una Madonna coi santi Gregorio, Francesco e Stefano, che è uno dei quadri meglio conservati di questo artista, ed il monumento ad Ippolita degl'Ippoliti dei marchesi Gazoldo, morta nel 1751. Ai due lati della porta maggiore si leggono due iscrizioni che ricordano la venuta in questo tempio dei Pontefici Pid VII e Pio IX.


Altare di San Gregorio (1601) e la Madonna in gloria con i Santi di Pietro Sorri. I santi raffigurati sono: San Gregorio, Santo Stefano, San Benedetto e San Francesco d'Assisi. In basso lo stemma della famiglia Piagnatta e la croce dei Cavalieri.



Nel 1770 si fecero intorno alla Chiesa i pilastri ed il cornicione d' ordine corintio, mettendoli in armonia colle colonne delle cappelle, e Giuseppe Gricci fiorentino dipinse in alto: la carità, il samaritano che medica il viandante derubato e ferito sulla via di Gerico, la samaritana al pozzo col Salvatore, la risurrezione del figlio della vedova di Naim, il battesimo dell'eunuco della regina Candace per S. Filippo, la guarigione del cieco nato, S. Pietro naufragante per difetto di fede, Gesù che scaccia i profanatori del tempio, la cena in Emaus, la fede.
Furono quasi tutti eseguiti a spese delle diverse confraternite della città, ognuna delle quali vi fece apporre il proprio stemma.
Son belle le sei grandi colonne di marmo misto , che gli archi sostengono delle tre cappelle, e le due cantorie colle sottoposte nporte, le quali furon dono del principe Antonio Medici figlio del granduca Francesco I. Quella a sinistra di chi guarda servì in antico per uso della famiglia sovrana, la quale di lassù assisteva alla Messa ed alle sacre funzioni. Finalmente nel 1804 rinnuovarono il pavimento, e le sparse lapide che vi erano le riunirono in quattro separati posti; nel 1821 venne ampliato il presbitero, e dal 1829 al 1832, tolta dalla tribuna la vecchia soffitta, ci fecero la volta con istucchi e dorature come al presente si vede".

Dopo gli eventi bellici di immutato è rimasto soltanto il Battistero.
Queste immagini testimoniano tutta la devastazione che la cattedrale ha subito.
Non occorrono parole per descriverla.
Questo la Cattedrale prima della seconda guerra mondiale:
Un'altra ancora:
La cattedrale di San Francesco, oggi.
La facciata posteriore del Duomo
Bibliografia:
G. Piombanti, Guida storica ed artistica della città e dei dintorni di Livorno, Livorno 1903, p. 167.
P. Volpi, Guida del forestiero per la città e contorni di Livorno, Livorno 1846
V. Campedrer, F. Paliaga, Il Duomo di Livorno, Livorno 2006.
M..T. Lazzarini, F. Paliaga, Duomo di Livorno. Arte e devozione, Ospedaletto (Pisa) 2007.
Francesco Fontani, brano tratto da “Viaggio pittorico della Toscana – Vol. 3” – Firenze per Vincenzo Batelli e Comp., 1827

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