Percorrendo, quotidianamente, il tratto di strada che mi riporta a casa, mi soffermo davanti al quel che rimane del Teatro San Marco. E' come se Gramsci, dal 21 gennaio del 1921, fosse rimasto qui ad osservare la sua creatura.
I pochi fiori secchi, la bandiera rossa consumata dal libeccio ed una corona d'alloro sbrindellata, rendono l'idea di come il grande evento, realizzatosi all'interno di quelle mura, abbia conservato soltanto la parvenza di un'immagine sbiadita.
Subito dopo, comincio a sentire la polvere che si attacca alle scarpe e rende il passo sempre più pesante.
Davanti agli occhi della mente, come i titoli di coda di un film, scorrono le parole di Gramsci: "L'indifferenza é il peso morto della storia. È la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall'impresa eroica".
L'indifferenza si respira a pieni polmoni in questa città.
La classe politica che ha traghettato Livorno "nei gorghi limosi", sì è adagiata nella "consuetudine" che le ha permesso di amministrarla, indisturbata, per decenni.
La realtà, poi, li ha costretti a destarsi e di soprassalto, dai sogni di gloria.
Ma qui di sinistra, ormai, ci siamo rimasti solo noi mancini.
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