Il palazzo Comunale, ha subito numerosi rimaneggiamenti nel secolo passato, testimoniati da un interessante articolo, pubblicato in un numero del 1968 di Comune Notizie e scritto da Gino Galletti.
In una bella sua frase definisce il palazzo civico come la casa dei livornesi, dove è possibile ritrovare "i più cari, forti e immutabili ricordi storici".
Lasciamoci guidare in questa suggestiva visita attraverso un viaggio nel tempo che ci conduce nel 1968:
"Non è un mistero per nessuno che, fino a poco tempo fa, il Palazzo Comunale di Livorno era, nella parte interna, un vero laberinto. Ritocchi, restauri parziali ne erano stati fatti, ma il laberinto rimaneva: vecchie scale ripide, strette, disagevoli; corridoi, o più propriamente andirivieni, nei quali era cosa ardua orientarsi; stanze anguste e trasandate per i molteplici uffici.
Per i rappresentanti della Comunità e per le autorita cittadine, o forestiere, o straniere, che potevano essere introdotte in Palazzo, v'era, sì qualche decorosa e decorata stanza; ma, appena usciti di qui, ecco subito il dedalo co'suoi giri viziosi, con dislivelli accentuati di pavimenti, poco o punto arioso e illuminato. Alcuni uffici del pianterreno parevano sotterranei.
S'imponevano, dunque, due problemi urgenti e inderogabili: o costruire un nuovo palazzo, o restaurare, meglio trasformare, quello esistente.
Costruirne uno nuovo!
S'imponevano, dunque, due problemi urgenti e inderogabili: o costruire un nuovo palazzo, o restaurare, meglio trasformare, quello esistente.
Costruirne uno nuovo!
E' cosa bella, certamente, vagheggiar quest'idea, perché è proprio così che le citta si rinnovano e, con gli aspetti diversi, si conformano alle nuove esigenze della vita e possono concorrere, quando l'opera e degna, all'incremento dell'arte; ma in certi casi, pur trascurando le cifre, che contano molto, bisogna riflettere che, oltre alla difficoltà di trovare un' area centrale, adatta per costruirvi un nuovo palazzo, vi è un culto santissimo al quale il popolo d' una città è grandemente attaccato: il culto delle memorie storiche.
Sta bene che, col succedersi delle generazioni, sbiadiscono i ricordi dei fatti accaduti in questo o in quel luogo; ma quando un seguito di questi fatti è ormai fermato nella storia o negli annali di una città, e tanto più se anche per tradizione si e radicato nel pensiero e nel cuore dei cittadini, allora la sparizione di questo o di quel luogo è uno strappo che mal si sopporta e può sembrare noncuranza, peggio disprezzo, per tutto ciò che è passato.
II Palazzo Comunale di Livorno, dal 1720 a oggi, è stato testimone di tanti rivolgimenti, di tanta passione politica, cittadina e italiana, vissuta massimamente nell'epoca del Risorgimento, che non poteva né doveva essere sgombrato e abbandonato, così d'un tratto, senza riflettere che il culto e il sentimento della cittadinanza ne avrebbero risentito dolore.
Tralasciata l'idea dello sgombero e dell'abbandono, occorreva pensare alla inevitabile trasformazione, quasi ricostruzione della parte interna del vecchio Palazzo; e il primo Podestà di Livorno, il Conte Marco Tonci Ottieri della Ciaia, uomo d'intuizione agile e pronta, oltre che vigile custode delle memorie livornesi, care a lui quanta al popolo nostro, non ha esitato; e la ricostruzione interna è avvenuta in modo mirabile.
Esecutore del totale restauro è stato l'ingegner Enrico Salvais, coadiuvato dall'ingegnere Luigi Pastore e da tutto il personale dell'Ufficio tecnico. Sotto la sua direzione, i lavori di rifacimento e di abbellimento hanno avuto un ritmo celere, considerate le difficoltà statiche da superare.
Chi, entrando e girando, ha più il ricordo del vecchio e laberintico baraccone?
Eppure - e qui il memore sentimento di ogni buon livornese si riconforta - siamo sempre fra le mura dello stesso palazzo, che di tanti avvenimenti ci parla con la voce della tradizione e della storia, Dove sono le scale ripide, strette e uggiose, i tortuosi corridoi, le stanze semiscure e tetre? Quel che colpisce il visitatore è l'insieme: si ha l'impressione della grandiosità, che appaga l'occhio e 1o spirito, senza le vertigini dello sfarzo; v'è solamente decoro, dignitosità artistica, semplicità signorile, anche nelle stanze riservate. Vuotato, ma lasciato il guscio, cioè la parte esteriore, tutto è stato abbattuto e rifatto; e ciò e avvenuto sotto gli occhi del pubblico, che ogni giorno affluisce nel palazzo del Comune, palazzo di tutti.
Né mai, nel corso dei lavori, è stata interrotta la circolazione, tanto meno e stato sospeso il solito incessante lavoro, con lode non piccola degli impiegati interni, che per mesi e mesi si son dovuti
adattare a compiere il loro dovere in locali in necessario disordine, fra muratori, fabbri, legnaioli, tintori e stuccatori.
Entrando dall'ingresso di Via del Consiglio, che è l'ingresso del pubblico, l'atrio spazioso e austero ci da' la sensazione di trovarci in un vero palazzo settecentesco.
Ora
tutti gli uffici del pianterreno hanno ampiezza, luce, comodità,
decoro estetico; e chi rammenta, come si è detto, il loro antico
aspetto di sotterranei, crede quasi a un sogno e rimane attonito. La
scala marmorea, a collo, sale maestosa fino al quarto piano,
sostenuta da ghiera, a pilastri modellati sul disegno di quelli dello
scalone esterno, e illuminata da quattro finestroni che prospettano
su due cortili, l'uno dei quali dipinto a graffito, l'altro a fresco;
ma la luce viene pure dall'alto, ov'è un bellissimo lucernario.
Dai
pianerottoli delle scale entriamo nelle vaste gallerie, che prendono
luce dai due cortili, lungo le quali si allineano gl'ingressi degli
uffici. Prima, per trovarli, bisognava girare e rigirare, qualche
volta confondersi, sperdersi e perder tempo; ora ce li troviamo
davanti agli occhi senza sforzo di ricerche nella semioscurità d'una
volta. Perché bisogna tener sempre presente il concetto che la
ricostruzione della parte interna del palazzo, fatta eseguire dal
primo Podestà di Livorno, non ha avuto nessun pensiero di lusso
eccessivo, ma di ridurre il palazzo stesso accessibile al pubblico e
di renderlo degno d'una città che vive e meglio vivrà col suo mare
e col suo porto in esecuzione, per il quale dobbiamo essere
riconoscenti al nostro illustre e amato concittadino, S. E. il conte
Costanzo Ciano, e al Governo Nazionale. Nessun lusso, dunque, nelle
gallerie e negli Uffici, rimodernati però con gusto che appaga; ma
una parte della galleria del primo piano si può giustamente chiamare
galleria araldica, per la quantità degli stemmi che ne rivestono le
pareti.
Sono
cinquantadue, salvo errore e il numero è tale che richiederebbe una
particolare monografia per ricordarli e illustrarli tutto. Vi
figurano quello del primo Castellano, dei due primi Governatori del
primo Gonfaloniere, dei Cavalieri di Santo Stefano, del primo Sindaco
e del primo Podestà: di coloro, insomma, che ebbero o hanno l'alto
onore di amministratori del Comune. In questa parte veramente
splendida della galleria araldica è palese l'amore e il culto
squisito del Conte Tonci della Ciaia per tutto ciò che è
espressione artistica o semplice ricordo della vecchia Livorno. Egli,
infatti, ha pensato di riunir qui bellamente e religiosamente tante
anche piccole cose che, con le demolizioni avvenute, sarebbero andate
disperse.
Tutto
il passato non dev'essere distrutto: è bene che spariscano i vecchi
centri delle città quando sono un intrico di vie e di vicoli
decrepiti, con le case luride anche nell'apparenza; ma perché non
risparmiare e non conservare, ad esempio, la fontanella di marmo con
due delfini, che ora si trova in questa galleria? e la piccola
marmorea Madonna di Loreto, con volto e mani di bronzo? e l'altra
sempre marmorea Vergine delle Vigne, ch'era dietro il Duomo, sulla
porta d'uno stabile da inquilini, e risale ai primi del 1600? Sono
piccole cose, ma sono anche i segni del sentimento, della pietà,
della fede dei padri nostri, e va data lode a chi ha impedito che
quelle piccole ma significanti cose andassero distrutte dal piccone
demolitore, o diventassero macerie nel fondo di un buio e umido
magazzino. Nel muro a sinistra, una lapide riassume con brevità
epigrafica la vecchia ricostruzione del palazzo:
Nell'anno 1720
disegno di Giovanni del Fantasia
fu cominciato a edificare questa palazzo
ad uso di residenza del Comune
danneggiato dal terremoto del 1742
restaurato e quasi riedificato
da Bernardino Ciurini
ingegnere
Palazzo
dallincuria e dagli anni deteriorate
il Podesta
con lunga serie di lavori
ordine e decoro
il 28 ottobre 1929 - Anno VIII. E. F.
Di faccia, un'altra lapide ricorda la nuova totale ricostruzione
interna, con epigrafe dettata da Francesco Guerri:
A questo civico Palazzo
dall'incuria e dagli anni deteriorate
il Podesta
con lunga serie di lavori
ordine e decoro
il 28 ottobre 1929 - Anno VIII. E. F.
felicemente restituiva
Nient' altro. Certo è però che, in altri tempi, l'epigrafe
avrebbe assunto forma e carattere
apologetici e quelle due semplici parole "II Podestà" non
sarebbero bastate.
E' simpatica cosa vedere che in questo reparto della residenza
comunale, dove sono raccolti tanti ricordi di Livorno e di Livornesi,
manca in modo assoluto l'esaltazione delle persone; ogni nome e
taciuto; ed io, se ho voluto sapere a chi apparteneva questo o quello
stemma gentilizio, ho dovuto ricorrere alla gentilezza del professor
Costanzo Mostardi, ispettore delle scuole, e del signor Vittorio
Calvani dell' Ufficio Tecnico, che ho avuto per guida nella visita
del Palazzo, ed ai quali porgo i miei pili fervidi ringraziamenti.
Nella stessa galleria, ove la luce che penetra dai vetri istoriati
da una sensazione di misticismo, si scorge un altra opera d'arte: la
Pietà, in bronzo, dello scultore Gemignani; sopra a questa è lo
stemma di S. E. Costanzo Ciano, conte di Cortellazzo.
Ed ecco, allineati su piccoli piedistalli, otto busti di marmo
raffiguranti illustri uomini e donne livornesi: pittori, scienziati,
letterati, storici, artisti drammatici, maestri di musica:
Pollastrini, Orosi, Guerrazzi, Bonaini, Angelica Palli, Carolina
Intemari, Delle Sedie, Vivoli.
Ma la galleria qui non fisce e si allunga ancora, sebbene in
questa parte non sia terminato il rivestimento artistico.
Ferma I'attenzione un'epigrale, questa volta fissata nel
muro non per perpetuare un fatto storico, rna
per esprimere un sentimento di gratitudine verso un magnifico
donatore:
Gustavo Valensin Pascià
nell' arte medica onorato maestro
in patria e in terra straniera
d'italiana virtu fervido assertore
al Comune
per provvidenza ai giovani studiosi
a pie istituzioni
per alimento d'opere feconde
parte cospicua delle sue fortune
liberamente donava
Il Podestà
in memoria e riconoscenza
di cosi luminoso civismo
MCMXXIX - a. VII. E. F.
Lasciato il braccio principale della galleria araldica e voltando
a destra, a metà, si entra in un'altra galleria più breve, non però
meno importante, e bene ariosa. A sinistra vediamo la lapide in
marmo, che prima si trovava sulla porta dello scalone esterno, a
ricordare il plebiscito del popolo toscano del 15 marzo 1860, per
l'unione della monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele; a
destra la lapide rammemorante il plebiscito fascista del 24 marzo
1929, anno VII. Saliti alcuni gradini, c'inoltriamo nella medesima
galleria illuminata da stemmi: i due primi di Livorno, torre o barca, e l'attuale, quelli di Savoia e del Fascio littorio, più un altro
stemma di Livorno con torre sormontata dall'aquila imperiale
napoleonica. Di faccia alle finestre, fra due belle porte scure a
noce cerata e con altri stemmi in legno di Livorno, bene intagliati,
si presenta la targa in giallo di Verona e in cornice metallica,
sulla quale a lettere di bronzo sono scritti i nomi dei cittadini
onorari di Livorno.
Torno alla galleria, sotto il soffitto, ancora stemmi colorati:
quelli degli Amministratori del Comune, della Provincia e di Opere
Pie.
Da quest'altro braccio della galleria araldica si va nel
vestibolo, in rosso pompeiano, della sala dove un tempo avevano luogo
le sedute del Consiglio Comunale: vestibolo che da un senso di calma
severa e religiosa, sempre con qualche memore accenno alla nostra
città. Se sopra un piccolo mobile in legno, d'imitazione antica, si
ammira ancora una volta lo stemma di Livorno, ma in metallo lucido,
sul quale spicca la statuetta di Santa Giulia; se appeso al muro
pende un espressivo Cristo del '700; se un'altra cara immagine si
presenta allo sguardo, quella che raffigura la Madonna di Montenero,
Protettrice di Livorno, doverosamente posta nel Comune, accanto alia
statuetta e alle reliquie della Patrona; ecco poi il magnifico
finestrone i cui vetri istoriati portano impresse le figure delle
antiche Torri di Livorno: Meloria, Magnale, Fanale, Marzocco,
Fortezza Vecchia, Calafuria.
Tutti i lampioni della galleria araldica e del vestibolo
s'intonano al carattere austero del luogo, fatti come sono in ferro
battuto; ma i lampadari della sala dei ricevimenti, già del
Consiglio Comunale, brillano iridescenti in cristallo di Murano. Non
importa descrivere l'ornamentazione assai bella di questa sala,
perché rimasta quella che era e perché non fa parte del nuovo
restauro; basti dire, benché si sappia, che vi grandeggia il molto
colorito quadro di Natale Betti, pregiato pittore, che volle
rappresentare 1o sbarco a Livorno, nel 1860, del Re Vittorio
Emanuele.
Nella parete di fronte sta appeso un altro gran quadro, del
Sustermann, che sembra voler raffigurare Ferdinando II a ricevere
nella Darsena alcuni personaggi portoghesi.
Attigue si aprono altre sale, fra le quali quella per le adunanze
della Consulta, rimodernate con gusto e sempre e tutte con qualche
tocco di mano che sa le semplici delicatezze dell'arte.
Ripercorrendo in senso inverso la galleria araldica, ci
avviciniamo agli appartamenti podestarili; ma soffermiamoci prima nell'ingresso principale del palazzo, che
si presenta appena salito lo scalone esterno. Non è grandioso, e non
poteva esserlo, perché proprio di qui salgono i grossi muri di
sostegno al cupolotto che si drizza sul tetto e dove e lo storico
campanone, che tante volte, per lutti o per feste nazionali, ci ha fatto udire la sua cupa sonora
voce di bronzo. Su questi muri sono state fermate due lapidi, con
belle epigrafi di Francesco Guerri, per eternare nel marmo due date,
che i Livornesi non potranno dimenticare: la visita del Re e del
Principe Umberto, il 13 giugno 1924, per l'inaugurazione del monumento ai Caduti; e l'altra del Duce, l'11
maggio 1930. In fondo, dove era prima una controporta di legno,
figura un artistico cancello di ferro battuto a vetri colorati.
Gli appartamenti riservati sono, press'a poco, quelli che erano
prima del restauro.
Severo, ma nel tempo stesso elegante, è il Gabinetto del Podestà,
puro stile Impero, col soffitto in legno a borchie dorate. Qua e là si scorgono i segni
di un nuovo ordinatore.
Lungo le pareti sfilano gli stemmi dei Gonfalonieri, dei Sindaci,
del primo podestà; ma dentro un bel mobile a vetrina sta religiosamente conservato il
manto che fu indossato dai Gonfalonieri del Comune.
Di contro sorge un ricco specchio dorato, sempre stile Impero.
Magnifica la sala rossa, ove avvengono i grandi ricevimenti:
soffitto scuro, di rovere; sedie, poltrone, divani, in legno dorato
con rivestimento di velluto cremisi; grandi e noti quadri alle
pareti: Vittorio Emanuele a cavallo, del Pollastrini; Garibaldi del
Corcos; Battaglia di Lissa del Gamba, donato dal Ministero della
Marina nel 1870; Incipit aetas nova del Nomellini.
Nei vani tra finestra e finestra, sono state ora poste due targhe
di bronzo: l'una con l'effige del Duce, l'altra con lo stemma dal
Fascio Littorio.
Dalla sala rossa si passa in un grazioso salottino celeste,
informato allo stile Luigi XV tanto nei fregi del soffitto e delle
pareti quanto nei mobili; e qui e nelle altre sale sempre lumiere di
cristallo di Murano e artistici caminetti in marmo e ottone. Per una più minuziosa descrizione del Palazzo, si può osservare,
occorrerebbero molti altri dettagli; ma con quest'articolo non ho inteso di fare una
monografia del luogo, passo per passo: ho solamente tentato di dare
un'idea complessiva del Palazzo vuotato e ricostruito nella parte
interna e più che altro in quella riservata agli Uffici, dove
affluisce il pubblico.
E' qui dove risalta il pensiero della mente ispiratrice, dove si
afferma la valentia dell'ingegno esecutore.
La parte esterna e rimasta intatta per il disegno, col marmoreo
scalone del Ciurini e col suo carattere settecentesco. Pure qualche
innovazione vi si può trovare: sulla porta dello Scalone grandeggia
lo stemma del Comune; in basso, dov'era un altro ingresso, é stata
incavata una nicchia con un mascherone che fa da fontana: e ai lati
di questa stanno due piccoli bronzei stemmi del Fascio Littorio.
Sacre ormai alle nuove e alle future generazioni, si vedono sulla facciata la targa in bronzo col Bollettino della
Vittoria e una lapide con le date memorabili del Fascismo.
Ma già è stato ideato un nuovo disegno, se in avvenire si
presenterà come cosa possibile una più grandiosa e definitiva
sistemazione della residenza comunale. Due sarebbero allora le facciate del Palazzo, col medesimo scalone di marmo; e
la nuova, lasciato libero 1o spazio per l'ingresso al pubblico,
sorgerebbe rettilinea in via degli Avvalorati fino a via della
Madonna.
Ben può dirsi, frattempo, che già Livorno nel vecchio
palazzo comunale, ne ha uno nuovo, ove i Livornesi, per il memore
affetto di un Uomo, ritrovano profusi i loro più cari e forti e
immutabili ricordi storici: negli stemmi, nelle iscrizioni, nei busti
e nei nomi degli uomini insigni nelle lettere, nelle scienze, nelle
arti; o, giova ripeterlo, in tante significantissime cose, che
riconducono col pensiero e col cuore alla vecchia città in buona
parte scomparsa".
Gino Galletti,in AA.VV.,
Notiziario
del Comune di Livorno – Marzo – Aprile 1968, Anno
III, numeri 3 e 4
Immagini:Foto Miniati
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