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LE ISCRIZIONI DEL PONTE DI MARMO IN VENEZIA NUOVA


Sicuramente, ognuno di noi avrà fatto caso alle iscrizioni, quasi completamente cancellate dal tempo, incise sul Ponte di Marmo.
Sono rimasta stupita dal poterle leggere, per la prima volta, nel testo di Richard Cobden del 1859. Peccato, ne abbia riportato soltanto alcune.
Interessante tutto il suo articolo, in particolare la digressione storica e sociologica sull'uso dei soprannomi e la loro funzione.




Vi lascio alla sua lettura:
"Il ponte di marmo è un cenotafio consacrato dai figli della Venezia Livornese, alla memoria dei loro morti. Siccome quel ponte è il luogo dei loro convegni, la stazione ove aspettano l'ora del lavoro e spesso il lavoro medesimo, l'idea di mettere sott'occhio ai superstiti le iscrizioni commemorative dei compagni perduti, apparisce nata da un istinti di gentilezza, che fa onore a quella povera gente. Un retto criterio di cui vuole giustizia, che abbia debita lode, le diede poi il consiglio di fare le iscrizioni in semplici e brevi sentenze.
Eccone la più lunga:
 
D.O.M.
Alla Cara Memoria
Di Giovanni Calafati
Che cessò di fruir
L'aura vitale nel giorno
16 Settembre 1854
Che sugli anni 26 di sua vita
Fu rapito dal rio
Morbo
Gli amici veri di lui
In segno di condoglianza
Per tanta perdita
Scolpirono questo marmo
P.p.l.
Iscrizione funebre dedicata a Giovanni Calafati
 
L'adulazione che contaminò le città sepolcrali d'Egitto, l'are e le tombe della Grecia, arrivò più tardi a trasformare i mostri scettrati in tante divinità, a cui i popoli offerivano incensi finché la famiglia del nuovo nume sedava in trono, e contaminò finalmente con sfacciata iattanza, anche le fosse scavate sotto il Vessillo della Redenzione, ma non ha ancora invaso i cenotaffj del Ponte di Marmo.
Una austera sobrietà vi presiede, novera le parole,e tronca le ali della lode appena s'avvede che spuntano. Se qualche lettore mi dicesse: Ma di che mai i facchini della Venezia empirebbero un lungo epitaffio? Donde vorreste che la lode traesse argomento, per celebrarli in lunghe sentenze? Un facchino, o signore, io mi affretterei a rispondere, si mostrerà ignorante e idiota ogni qual volta lo chiamereste a discutere sulla politica Europea, sugli interessi veri dell'umanità e del proprio paese, perché vivendo una città che non ha un Foro dove sia lecito a tutte le classi di Cittadini parlare della cosa pubblica e formarsi un retto criterio della medesima dal quotidiano conflitto delle opinioni, sarebbe impossibile che da un giorno all'altro egli doventasse dotto in una scienza di cui nessuno gli insegnò mai neppur l'a.b.c. - ma nel cerchio ristretto delle sua abitudini, delle sue idee, delle sue affezioni, perché mai il facchino della Venezia non potebbe aver lasciato dietro di sé un tesoro di care ricordanze, di fatti egregi?

Il Ponte di Marmo
L'amore, l'amicizia, la gratitudine, avranno spesso accompagnato piangendo i cadaveri di quei rozzi popolani alla sepoltura; tenendosi per mano nel mesto sentiero del camposanto, avrenno esaltate le loro virtù, i pregi loro, ma trattenuti poi da un onesto pudore, non osarono imporre al marmo destinato a servire d'interprete alla schietta verità, l'espressione dei loro affetti, temerono d'illudersi, di far ridere gli spassionati, e si limitarono a incidere i fatti innegabili, il compianto, e il dolore dei superstiti, lasciando al lettore conscio delle cose loro, il giudicare se fossero o no un tributo meritato da chi l'ottenne.

In due iscrizioni si trovano le iniziali delle tre parole pregate per lui; in una sola le tre parole intere accompagnate dalla postilla “ si crede che morisse per un colpo di coltello”.
Per i morti in grazia di Dio dovrebbero veramente bastare le preci della Chiesa e dei parenti. imperocché la gente viva non possa occuparsi di tutta quanta la gente morta, e sia indiscretezza che lasci i fatti suoi, per pregar requie a un'anima sconosciuta, e forse in condizioni migliori di quella di chi legge l'invito. Ma quell'unico “pregate per lui” accanto al “si dice morisse per un colpo di coltello” ferma lo sguardo e scuote profondamente l'animo del lettore. 



 
Una storia di dolori e di delitti emerge sanguinosa da quelle tremende parole! … l'uomo morto di coltello ha senza dubbio bisogno della misericordia d'Iddio più di coloro che si addormentarono nel sonno della morte nel letto domestico, circondati da cure amorose... quell'uomo fu soggetto d'odio feroce! Fors'anche egli odiò con pari ferocia! … anch'egli forse aveva brandito un ferro omicida! Mille immagini spaventose si dipingono, si concatenano in quel “pregate per lui!” Chi lo legge rimane compreso da religioso terrore.. Medita e prega! Un'altra specialità curiosa del Ponte di Marmo sta nei soprannomi di coloro cui sono dedicate



 
Francesco Brandi
Detto l'Asso
Morì il 21 Febbraio 1854

In questa iscrizione sono dimenticati l'età del defunto e il malore che lo fece escire da vita, non così il soprannome! E nel linguaggio popolare livornese l'Asso sta per significare il grado superlativo d'ogni eccellenza.
 
Il dì 7 Luglio
Morì Angiolo Magnani
Detto Baciotto
D'anni 57


Andrea Andreoni
Detto Succhiariso
Morì il dì 15 Febbrajo 1813
D'anni 63.


Alla fredda Salma di
Domenico Casali
Detto Mancino


Alle spoglie mnortali di
Giuseppe marchi
Detto Morino


 
Il Soprannome è messo in modo da apparire più importante del nome e del cognome medesimo.
Il soprannome suona sulle loro labbra fin dal primo giorno in cui ognuno di quei trapassati si mescolò tra di essi, prese parte alle loro fatiche, ai loro sollazzi … Il soprannome chiamò sugli occhi loro la lagrima del compianto nel dì delle esequie, e cogli occhi umidi ancora di quelle lagrime essi scolpirono l'epitaffio!
L'uso del soprannome è tuttavia tra i figli della Venezia Nuova quello che era nelle società primitive, l'espressione cioè delle qualità dominanti in un individuo, il ricordo delle specialità che lo distinsero dall'altra gente.
 
Gli Eroi d'Omero hanno quasi tutti il loro soprannome particolare, e il poeta si è religiosamente imposto il dovere di non farne mai senza. La società si incivilì e i soprannomi sparirono per ricomparire quando la lotta barbarica ebbe avvolta l'Europa nelle sue tenebre.

 
Troviamo in quei tempi: Riccardo Cuor di Leone, Carlo il Ciotto o Zoppo, Giovanni senza terra, Guglielmo l'ardito, Federico Barbarossa, e più che altro troviamo in Francia una lunga serie di Re, pei quali il soprannome è parte integrante di fame, e per così dir di esistenza.
L'incivilimento tendeva a far sparire le distinzioni create dalla Natura, per sostituirvi quelle inventate da esso medesimo.

 
Per una conseguenza inevitabile di questo arrovesciamento delle abitudini primitive, i soprannomi sono spariti dalle società basate sulle nuove norme della civile esistenza, quella dei facchini della Venezia Nuova essendo per avventura rimasta stazionaria nelle idee e nelle consuetudini di una situazione di cose assai meno lontana da quella dei tempi Omerici e del Medio Evo, è naturale che continui a dare soprannomi, e si trovi a far quello che facevano i Danai, i Teucri, e più tardi Baroni, Re, Imperatori.

 
Il progresso che non può, per istinto della sua natura, fermarsi mai, e va avanti, anche quando il progredire nel bene sia diventato impossibile, ha fatto da poco in qua un nuovo passo nella scienza lapidaria. Quando tutta l'importanza sociale dipendeva dai titoli e dalla vetusta origine delle schiatte, il danaro servia solamente a dare il bene stare al di dentro delle pareti domestiche, ma fuori di esse valeva zero, e un terrazzano milionario prendeva in pace le urtate di un gentiluomo pieno di debiti e di miseria, per paura che il risentirsi non gli fruttasse anche peggio. L'enumerazione dei titoli ereditati dagli avi empiva allora le lapidi dei Gentiluomini, il Volgo privo di avi illustri giaceva senza iscrizione.
 
Anche quei tempi sono già lontani da noi, titoli e quarti di nobiltà caddero là dove erano già cadute le doti personali, nell'oblio cioè o nel ridicolo, e la società ha preso ad adorare un altro idolo, il denaro; ma non osando confessare apertamente il materialismo terribile della nuova sua adorazione, specialmente quando si tratta di inciderne la confessione sulla lapide dei sepolcri, con a fianco la morte e l'eternità, si trova in un brutto imbroglio, e affastella superlativi sopra superlativi di lode, senza toccar pur mai la corda che rende suono, esaltando fino alle stelle virtù che il lodato non conobbe e non praticò mai, per non dire: fu grande, fu sublime nell'arte di accumulare ricchezze, ammiratelo perciò, che io perciò lo esalto!


 
Da fin qui detto apparisce chiaro il perché, tranne poche eccezioni, le epigrafi di cui vanno cariche le tombe innalzate nei Cimiteri, sieno per l'impaccio in cui si trova chi le compone, vuote di dignità, di evidenza, e si leggano con un interesse molto minore degli epitaffi scolpiti sulle spallette del Ponte di Marmo dai poveri facchini della Venezia Nuova."
Richard Cobden, "Livorno Granducale - La città, il porto e i suoi contorni", 1856

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