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PASSEGGIATA DA ANTIGNANO AL ROMITO DEL 1846



Richard Cobden, industriale, politico e scrittore inglese (Heyshott, 1804 - Londra 1865). Fondatore dell’Anti-Corn Law League, riuscì a far abolire il dazio sulle importazioni del grano in Inghilterra.
Durante uno dei suoi viaggi di propaganda in Europa, si fermò al porto di Livorno, importante nodo di scambio commerciale dell'epoca.

Soggiornò nella nostra città nel 1946, sicuramente ne sùbì il fascino, visto che nel 1856 scrisse "Livorno Granducale - La città, il porto e i suoi contorni".
Un testo delizioso ed accattivante, ho apprezzato molto gli aneddoti che riporta.
Voglio condividere con i lettori una suggestiva passeggiata che l'autore fa partendo da Antignano per arrivare alla torre del Romito.
Al termine vi riporto anche la storia dell'eremita che dette il nome alla torre.
Buone lettura.


"Al piede del ponte l'Ardenza la strada maremmana svolta a destra e va verso il mare passando da Antignano.

 Borgo o Villaggio composto quasi esclusivamente di due specie di abitatori: Lavandaje e Pescatori.
Nella bella stagione è assai più popolato perché le sue abitazioni sono allora piene di villeggianti. La vecchia strada Maremmana, al di la di Antignano, passava anni sono proprio sulla scogliera del Lido, pestava i banchi di rena e gli ammassi d'alga  lasciati in dono alla terra dal continuo andirivieni delle onde, era stretta e piena di pericoli per le diligenze che fanno giornalmente il viaggio delle Maremme; ma una nuova strada fu tagliata dal sasso vivo dei macigni che sovrastavano la vecchia; è larga, comoda, ben selciata e facilita le counicazioni con un Paese che spera dal commercio e dalla coltivazione un avvenire migliore del suo passato.
La Torre di Calafuria
La solitudine di quella parte del littorale è pittoresca, ogni svolta offre un nuovo punto di vista, e le antiche torri custodi della costa crescono interesse nella scena.
Mentre l'immensità del mare riempie si sé l'occhio e il pensiero del passeggiatore, e l'uno e l'altro spaziando sopra i suoi abissi, dimenticano la terra, rappresentata in questo sito, da rupi nerastre, vestite appena qua e là da qualche ciuffo d'erba ingiallita dal sole, ecco che a una svoltata, la vista improvvisa d'una torre, richiama i due girovaghi alla memoria dei nidi umani.

  Quelle torri stanno li ridotte all'unico uffizio di far rispettare le Leggi di Sanità, e di impedire il contrabbando. Io credo che il genio della meditazione e della mestizia non potrebbe scegliere asilo più adatto della tortuosità di quel lido, per godervi il libero e dolce fantasticar dei suoi pensieri.
La Torre di Calafuria

 Poco al di sotto della Villa Gamba
 (eccola ai giorni nostri)

abitata molti anni sono dal poeta e storico Smollet 
I suoi interni

La scogliera s'apre formando un seno dentro di cui il mare entra placidissimo, e va a lambire la ghiaja del lido come ospite riconoscente della ricevuta accoglienza.
Le ore passano inosservate per chi siede sullo scoglio custode dell'entrata del piccolo seno, e leggendo, meditando, o scrivendo, volge ogni tanto l'occhio alle barche lontane degli Antignanesi, mentri i loro canti arrivano al suo orecchio, portati dall'aura aleggiante sul limpido cristallo delle acque.
Vada pure la schiera degli amici ai tumultuosi piaceri a godersi l'Ardenza, io invito quelli della solitudine e della gentile mestizia a preferire il lungomare della Via Maremmana.
La prima e la seconda Torre escono quasi dal seno del mare, la terza detta il Romito, non è fabbricata sulla scogliera, ed ha per conseguenza la strada a destra. E' grande, ben provveduta di mezzi di difesa adatti ai tempi, nei quali era necessario pensare a preservare il Littorale, non dai contrabbandieri e dagli sbarchi clandestini soltanto.

Si chiama Romito forse per la posizione veramente romita, forse im memoria dell'Eremita che due secoli fa abitava nelle sue vicinanze, ed era possessore di un Crocifisso reputato miracoloso, o fors'anche trae il nome da una Cronaca di data assai remota, che trasmessa da padre a figlio e scritta nell'italiano del tempo di Carlo VIII, rimase inedita negli archivi di possidenti dei Colli Pisani. Avendone ottenuto un sunto da persona, che ebbe la fortuna di vederla, io mi impegnerò di farne parte ai miei cortesi lettori".
Ed ecco l'amara storia:
"La discesa di Carlo VIII in Italia e l'odio suo per i Fiorentini, sono stai sempre avversi a prendere il nome di duoi vassalli, avevano ridestato nei Pisani le mal sopite speranze di libertà, e quando il re venne a Pisa, e il presidio Fiorentino abbandonò la Cittadella, in balia dei Francesi, il popolo figurandosi che il non avere più padroni Fiorentini significasse essere tornato libero e grande, eruppe in tali e tanti trasporti di allegrezza , che Re Carlo ne fu meravigliato e commosso, e promise partendo di non rimettere Pisa sotto il giogo dei suoi odiati nemici.
Ernestro d'Estrangues fu eletto comandante delle truppe Francesi a presidiare la Cittadella. Egli era giovane e d'animo bollente; Gabriella Lante era la più leggiadra delle nobili fanciulle di Pisa, e il comandante Francese, appena l'ebbe vista si sentì preso da ardentissimo amore.
Gabriella era una di quelle creature entusiastiche, nelle quali il cuore parla sempre  e il criterio o mai o molto di rado; amava il suo paese e odiava a morte i Fiorentini, e tutti e mezzi le parevano buoni e leciti per fare che l'arme coi gigli rossi in campo bianco, fatta a pezzi e bruciata dai Pisani alla venuta di Carlo VIII non fosse rialzata sulla porta della Cittadella e degli Uffizj governativi. (...) La fede di Re Carlo non godeva di buona reputazione, e già si andava vociferando aver egli stipulata la restituzione di Pisa (...). D'Estrangues poteva da un momento all'altro ricevere l'ordine di sgombrere la Cittadella co' suoi soldati. (...) Gabriella aveva detto che stante la sua risoluzione di non diventare mai moglie d'un uomo che fosse capace di servire di istrumento a mettere Pisa nelle mani dei Fiorentini, d'Estrangues pittosto che rinunciare alle nozze desiderate, ricuserebbe di obbedire anche ai comandi del Re; (...) Dopo pochi giorni il Re mandò i contrassegni, né v'era più modo di continuare in quello stato di cose. I Fiorentini insistevano, il Re comandava; d'Estrangues era soldato, aveva accettata una consegna, si trattava di dichiararsi ribelle, di disonorarsi; giusta o ingiusta che fosse la cessione, egli non aveva il diritto di revocarla.
Lo spettro del disonore si alzò nel silenzio della notte dinanzi all'anima sua contrastata, e l'immagine della bellissima Lante si coprì momentaneamente di un velo.
Il comandante vide e misurò il pericolo della sua posizione, tremò della sovrastante infamia, e alzatosi impetuosamente dal letto, scrisse ai Fiorentini: Pisa è vostra venitene a prendere la consegna. Un messo portatore del dispaccio partì immediatamente per Firenze, d'Estrangues diede ordine alle sue genti di pepararsi a partire, e per due giorni consecutivi non uscì più dalla Cittadella.
La fama dei preparativi si sparse fra i Cittadini ed arrivò fino a Gabriella, che la tenne in concetto di una favola inventata dal malvolere dei nemici di Pisa. Ma ben tosto il padre, il fratello, gli amici vennero desolati a persuaderla del contrario. Essa svenne, due strali acutissimi avevano trafitto il cuore della fanciulla: la Patria rimetteva il collo sotto il giogo di Firenze, e d'Estrangues si era liberato da quello impostogli dai vezzi suoi. (...) Gabriella si alzò, si ravvolse in un ampio velo, prese con se la più fida delle sue ancelle, e a passi precipitosi si diresse verso la Cittadella.(...) Il comandante Francesco sedeva scrivendo; al nome di Gabriella un fuoco gli corse per ogni vena, un fuoco che ardeva tacito negli intimi recessi del cuore, e in quel momento tornò a divamparsi in incendio. Gabriella gli si accostò, piegò un ginocchio a terra, e alzando gli occhi divini pregni di lacrime al viso dell'amante. - Pietà di Pisa, disse, con un tuono di voce pieno di tutto quel gentile incanto di cui può vestirsi la preghiera d'una donna diletta - Pietà de' suoi Cittadini, della mia famiglia, di me!!
(...) La porta si riaprì all'improvviso un Ufficiale del presidio si affacciò nella stanza e - Comandante, gridò, i Fiorentini sono sotto le mura!
- I Fiorentini! esclamarono al tempo medesimo d'Estrangues e la fanciulla, l'uno con l'accento del dolore, l'altra con quello della disperazione.
- I vostri ordini comandante, soggiunse l'Ufficiale.
"Dateli", grido Gabriella alzandosi in atto di dignitosa fierezza, " ditegli che spalanchino le porte ai nostri carnefici, accoglieteli, festeggiateli; io, mio padre, mio fratello e quanti sono in Pisa capaci di anteporrela morte alla servitù, morremo prima di cadere nelle loro mani".
D'Estrangues la trattenne e con voce tremante, osò ricordare essere egli suddito e soldato, e perciò costretto alla consegna della città e della fortezza. (...) "Senti, le disse, i Fiorentini sono venuti chiamati da me e io li ho chiamati perché il farlo era mia dovere; se permetto che sieno assaliti dai tuoi concittadini, mi fo' reo d'un tradimento codardo e di un atto di ribellione... vuoi tu che ti sacrifichi l'onore mio? Dimmi, Gabriella, lo vuoi?".
Gabriella non aveva mai calcolato la differenza che passava fra i doveri di una cittadina di Pisa, e  quelli del Comandante di un presidio forestiero. A parer suo l'onore, tanto per lei, quanto per d'Estrangues, e per tutti gli uomini della terra, consisteva nel liberar Pisa dai Fiorentini, nell'assiterla a esterminarli: perciò senza scrupolo e senza rimorso, impiegò tutta la potenza delle sue attrattive per indurre lo sfortunato Comandante a non impedire al popolo in armi l'escita dalla città. Fu un permesso strappato alle sue labbra ebre dal veleno succhiato da quelle di Gabriella nel primo bacio d'amore... bacio ahimè pagato poi a troppo caro prezzo!
I Fiorentini non ressero all'assalto inaspettato, e fuggirono disordinatamente verso Firenze; i Pisani ritornarono in città lieti e superbi della facile vittoria. Gabriella dall'altro del balcone del palazzo paterno, vide i reduci incamminarsi verso la Cattedrale per deporvi le armi e le bandiere dei fuggitivi; fu la salvatrice della patria e si abbandonò ai trasporti di una gioja inconsiderata.
D'Estrangues frattanto leggeva un foglio di Tentaville (...): "Fuggi subito o morirai della morte dei traditori".
(...) Escì dalla Cittadella di notte, solo, senza avere riveduto Gabriella, senza averle dato avviso del dove andrebbe, e probabilmente ignorandolo egli medesimo. 
Pochi mesi dopo si sparse la voce che un Eremita si fosse stabilito in riva al mare, lungo la costa della Via Maremmana, in cima a quell'erta su cui molti anni dopo fu fabbricata la torre del Romito"

Ahiahi le donne!

Bibliografia:
Richard Cobden, "Livorno Granducale - La città, il porto e i suoi contorni", 1856
Pietro Vigo, Montenero - Guida storico artistico descrittiva,  Livorno, Tip. Gius. Fabbreschi, 1902

 

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