Sulle sue origini, abbiamo notizie molto varie e discordanti.
Si va da quelle di padre Nicola Magri, molto suggestive, nel suo Stato antico e moderno, ovvero origine di Livorno in Toscana dalla sua fondazione sino all'anno 1646, che le collocherebbero nei primi secoli dell'era cristiana:
“Questa Chiesa , e Convento di S. Jacopo d'Acquaviva è celebre presso molti autori, e tra questi il Beato Enrico d' Urimaria, nel suo Tomo nella Libreria di S. Vittore di Parigi. Vedi Giovanbattista Grimaldi, Filippo Borgomese, il Bollano Agostiniano dell'Empoli, e il Campione A de PP. S. Giovanni di Livorno nel principio.
Li sopracitati Autori vogliono, che in quello Convento, dove molti ad imitazione di S. Paolo primo Eremita si erano ritirati a far penitenza tra le selve dell' Ardenza, si sia fermato il glorioso P. S. Agostino, e scritto il de Trinitate, ed abbia avuto l'apparizione di quel Fanciullo, che con una Conchiglia del Mare mostrava di vuotare il mare , e racchiuderlo in piccola bucherella Le parole del Grimaldi sono “Ex bene vedere Filippo Bergomele, che vuole, che in Livorno nel Convento di S. Jacopo d' Acquaviva sia successo il miracolo dell'apparizione del Fanciullo, scrivendo il S. Dottore “de Trinitate” .
Lo stesso si ha nel Campione antico de' suddetti Padri nella prima facciata: “Posto tutto ciò convien ricercare se qui in Livorno, ed in Pisa fu Pietro Apostolo” (...)
E per vero dire per dar valore alla pretesa, e narrata da Baronio tradizione, che l'ApostoIo S. Pietro da Antiochia giunto , o per Sicilia e Pozzuoli, oppur per Otranto a Napoli d'Italia , forse poscia trasportato da quella Città , ove dicesi s'imbarcarle per andare a Roma, da furiosa tempesta nel Lido del mare di Toscana presso Livorno a Pisa vicino detto Grado, farebbe di mestieri fidare il suo viaggio, il che io vedrò, dopo aver le varie sentenze addotto, di stabilire.
Eusebio nelle Croniche, come riferisce Petavio: "Come si deduce da un antica notizia trascritta nel Secolo XVI in un libro degli Agostiniani di S. Giovanni di Livorno, detto Campione nero, o sia Campione A, (…) che dice così “Santo Jacobo de Acquaviva , che è stato il nostro Convento vecchio, dove el nostro Padre Santo Augustino partito da Milano colla madre Monica andare alla sua Patria, andato a Roma passò per la Toscana, (…) e stette anco all' Eremo, e Chiesa di S. Jacobo de Aquaviva, che fu fabbricata, ut bene fertur, sotto Costantino lmperadore, e Silvestro Papa”.
Dell'antichità di quella Chiesina parla (…) il Beato Errico d' Urimaria o d' Alemagna, ma meglio di Waimar, Città della Turingia (…) in Venezia l'anno 1314 (...)
Par mi adunque non lontano dal vero fissare la fondazione della Chiesa suddetta di S. Jacopo in (…) quello Territorio presso il mare a mezzo giorno de nostro Livorno sotto l'anno di Cristo 320”.
Parrebbe voler confermare questa ipotesi anche il Piombanti nella sua Guida storico artistica della città e dei contorni di Livorno, dove riferisce che:
“S. Jacopo in Acquaviva è luogo di care memorie; qui diverse tradizioni s'adunano che il filosofo imparziale non può disprezzare; imperocché non è forse anche la tradizione un fondamento di storia?
E, prima della invenzione della scrittura o in mancanza di essa, l'istoria non era ella costituita dalla non interrotta tradizione? Sembra cosa indubbia pertanto che, in questa solitaria e per avventura boschiva spiaggia, si ritirassero, nei primi secoli del cristianesimo, alcuni seguaci della nuova religione (come nelle isole del nostro mare), o per sfuggire la persecuzione furiosa che l'incalzava, o per menarci vita ritirata e penitente, lungi dal frastuono e dalle lusinghe del secolo. E per avere un luogo di comune adunanza a farvi le loro meditazioni e preghiere, dicesi fabbricassero, nel secolo IV, un oratorio,dedicandolo all'apostolo S. Giacomo maggiore, che diversi cronisti raccontano averci approdato, prima di passare in Ispagna. Il Magri, il Santelli ed altri narrano ancora siavi stato S. Agostino, lorchè da Milano tornava in Africa, e, nel visitare quegli eremiti, lasciasse loro la regola che aveva dettato; onde dal nome suo s'intitolarono. (…) questo sommo intelletto della fede cristiana, poiché, prosegue, innamorato di sì quieto e perfetto ritiro, meditava di scriverci il trattato della Trinità. Del qual soggetto avendo piena la mente, nel tempo che passeggiava un dì lungo la spiaggia, occorsegli d'incontrare un angelico spirito, delle forme vestito di grazioso ed innocente bambino, il quale, con una conchiglia, trasportava sollecito l'acqua del Tirreno in una bucherella che fatto aveva. Cui Agostino: qual vana fatica è egli mai cotesta tua? Pensi forse, amabile fanciullino, l'acqua tutta del mare vorrà entrare nel foro che facesti?
Perduta opera è la tua, ed inutilmente vi spenderesti gli anni ed i secoli se tu li vivessi. Ed egli: sappi, Agostino, esser cento e mille volte più difficil opera la tua se pretendi spinger l'acume del limitato intendimento tuo fino a comprendere il mistero della Trinità divina; e sparve.
Nel posto dell'apparizione, dicono scaturisse una fonte di buon'acqua (che ora sembra perduta), detta perciò Acquaviva, la quale dette il nome al luogo.
Di ben altra opinione Giuseppe Vivoli. Negli Annali di Livorno, dalla sua origine all'anno di Gesù Cristo 1840 Tomo Primo, riporta le antiche tradizioni:
“S. Jacopo in Acquaviva si appellava cosi per la fontana perenne, che nelle sue vicinanze scaturiva ove poscia si eresse il Monastero antico degli Agostiniani, presso al silo oggi occupato dal secondo Lazzeretro. — Il P. Magri poi , il Santelli , il Grifoni , il Campione detto nero dei frati predetti, le memorie del Livornese Pezzini, una Carta disegnata nel 1600, il Calendario stampato in Livorno nel 1738, ed una iscrizione del 1763, vanno d'accordo nel supporre che ambedue le Chiese ridette sorgessero, come eglino si esprimono, nelle allegrezze del gran Costantino, quando Egli cioè donò la pace ai Cristiani. Anzi il Calendario sopracitato asserisce che lo stesso Imperatore Costantino ad istanza del Pontefice S. Silvestro avesse ordinato fondarsi quella di S. Jacopo per comodo di alcuni Eremiti, che sin d' allora dimoravano nei boschi dell'Ardenza; quantunque l' Autore del Manoscritto appartenente già alla Livornese famiglia Piombanti, dal detto P. Santelli citato, avesse anteriormente sostenuto che la Chiesa di cui parliamo, fosse stata invece edificata molti più anni indietro, cioè da quell' istesso Tribuno Romano, che in Turrita comandava, amico, e commilitone, come già dicemmo, di Numaziano.
Ma tutte queste a vero dire non sono in sostanza che mere, e gratuite, per non dire, strane supposizioni; le quali abbiamo accennate solo perché non si creda averle noi forse ignorate”.
La prima testimonianza storica dell'esistenza della chiesa di San Jacopo è rintracciabile in una bolla papale del 1187 di papa Gregorio VIII. Così come riportano sia il Piombanti:
“Gregorio VllI in una Bolla del 1187, concedendo agli eremitani di S. Agostino di S. lacopo in Acquaviva facoltà, privilegi e indulgenze. Essi ebbero, nel medio evo, dai Pisani la custodia dell'ospedale di S. Leonardo, presso Stagno, pei pellegrini, e quella del fanale sulla torre della Meloria; avevano anche il convento di S. Maria di Caprolecchio alla Leccia, tra Salviano ed il fiumicello Ardenza”.
Ipotesi confermata anche dal Vivoli:
(Gregorio VIII) Trattenendosi in Pisa veniva pregato dai Padri Agostiniani dell'Eremo di S. Jacopo d' Acquaviva di concedere alla loro Chiesa alcune indulgenze e privilegi. Al che volentieri si prestava, compartendo ad essi mediante una sua Bolla anche la facoltà di erigersi un Cimiterio particolare. E qui dobbiamo notare intorno alla storia speciale di questo nostro rinomato Cenobio che la predetta Bolla formava adesso il primo Documento scritto, sino a noi pervenuto, il quale della sua esistenza prope Liburnum facesse positivamente parola , per quanto le sue tradizionali memorie si volessero da alcuni far risalire ai primi secoli del Cristianesimo”.
Per la storia dei secoli successivi, facciamo ancora riferimento al Piombanti:
“Le armi devastatrici di Carlo d'Angiò non risparmiarono il romitorio di S. lacopo; ma esso ben presto dalle sue rovine risorse, poiché, nel 1357, il generale fra Gregorio da Rimini concedeva al suo priore la facoltà di poter vendere i meno necessari mobili, per restaurare la fabbrica minacciante rovina. (...)
Nel 1425 gli Agostiniani passarono a Livorno, e nel 1577 cederono l'uso della loro Chiesa ai Greci uniti, riserbandosene la proprietà, mentre pare che alcuni di loro continuassero ad abitarci. Ferdinando I granduca, venuti i Greci in città, sopra l'antichissima abbattuta Chiesa di S. Giacomo maggiore, colla facciata a ponente, ne fabbricò una nuova, volta a mezzodì, e la fece parrocchia, affidandola agli Agostiniani, nel 1606”.
Dalla cala naturale che si trova dietro la chiesa, partivano i pellegrini alla volta diretti a Santiago di Compostela.
La sua posizione la rendeva un naturale avanposto difensivo costiero, per tale ragione nel 1646, nella zona attigua alla chiesa si trovava una torre di avvistamento,nota come la Torre di San Jacopo in Acquaviva.
Tra la fine del 500 e l'inizio del 600, fu costruita, nella zona compresa fra le attuali via dell'Eremo, via delle Conce e via della Cisterna, una grande costruzione rettangolare, con un grande loggiato destinata all'alloggio dei frati. Nello scantinato si trovava un passaggio sotterraneo che conduceva all'interno della chiesa.
Il Terrazzone - Dipinto di Marc Sardelli |
"Qualcuno diceva che era un vecchio convento degli Eremiti di San Jacopo, molti lo identificavano come il vero Eremo. Il fatto era che si trattava di una vetusta costruzione, circondata da un marciapiedi sopraelevato dal piano stradale sui lati est e nord. Alle abitazioni del piano terra si accedeva sia da via dell'Eremo che dal lato posteriore, parallelo a via delle Conce.
Dal lato di via dell’Eremo, una scala interna conduceva alle abitazioni del primo piano attraverso un lungo ballatoio, illuminato da finestroni ad arco che si affacciavano sulla stradetta a fondo chiuso, il cui pavimento era costituito da grandi pietre convergenti al centro, per lo scorrimento delle acque pluviali. Le abitazioni non avevano né acqua potabile, né bagno, per cui erano state aggiunte due latrine comuni per piano, mentre una fontana posta sul lato Nord forniva l’acqua potabile”. (Fonte "Livorno Magazine" N. 0 - Gennaio 2007)
Il Terrazzone (Immagine dell'archivio parrocchiale) |
Dal lato di via dell’Eremo, una scala interna conduceva alle abitazioni del primo piano attraverso un lungo ballatoio, illuminato da finestroni ad arco che si affacciavano sulla stradetta a fondo chiuso, il cui pavimento era costituito da grandi pietre convergenti al centro, per lo scorrimento delle acque pluviali. Le abitazioni non avevano né acqua potabile, né bagno, per cui erano state aggiunte due latrine comuni per piano, mentre una fontana posta sul lato Nord forniva l’acqua potabile”. (Fonte "Livorno Magazine" N. 0 - Gennaio 2007)
Tornando al Piombanti:
“L'anno 1710 si formò la Compagnia del SS. Sacramento, pel servizio della cura, la quale, sedici anni dopo, col permesso del governo, costruì la volta, sotto la Chiesa nuova, per dissotterrare la vecchia ed ufficiarla. Tolte le ossa che vi erano, imperciocché era stata la sepoltura della parrocchia, ritrovarono le mura e l' altare come al presente si vedono , ed il proposto di Livorno mons. Franceschi, la vigilia di S. Jacopo del 1717, la benediva.
L' imperator granduca Francesco I approvò, nel 1759, l'ingrandimento della Chiesa parrocchiale, secondo il disegno dell'architetto Ignazio Fazzi, e, ai 20 Febbraio 1762, il nostro proposto Venuti ne faceva la benedizione. Essa è una piccola croce latina, a volta, con tre altari; quello della cappella a destra, fatto dalla Compagnia del Sacramento nel 1762, ha un antico Crocifisso dipinto in tavola; dietro l'altar maggiore si vede un quadro con S. Jacopo, colorito da Giuseppe Bacchini insieme colla calotta, ed un S. Giuseppe sul cristallo; l'altra cappelletta è dedicata alla Madonna di Montenero.
Nell'oratorio sotterraneo, eretto probabilmente sulle rovine del primitivo antichissimo, si conserva un'immagine di Gesù morto, in terra cotta, che fu nella Chiesa dei Gesuiti di Livorno; ci si legge un'iscrizione del secolo scorso, la quale lo riconosce per quello stesso che fu fabbricato nel secolo IV, scavato poi e concesso alla Compagnia, come sopra è detto, da Cosimo III”.
Il 16 gennaio 1899, fu eretta la torre campanaria, alta 24,60 metri. Nei primi anni del XX ebbe inizio la costruzione della balconata destinata al posizionamento dell'organo.
Dal 1915 al 1935 ebbero luogo i lavori di ampliamento che cambiarono l'orientamento della chiesa, ruotandone l'asse di 90°, occupando anche l'area dell'antico cimitero.
Prima di concludere, voglio condividere con i lettori una suggestiva ipotesi, sull'uso della cripta verso la fine del 1800, che viene suggerito da Cesare Monteverde, nel suo romanzo "I demagoghi o i misteri di Livorno:
"Lungo la scogliera delle spiagge di San Iacopo esisteva una sotterranea galleria scavata nel tufo. Forse le onde del mare coll'andare dei secoli addentrandosi nella terra aveano formato quella volta naturale; e l'acqua col volger del tempo ritirandosi aveva lasciato asciutto quel sotterraneo. La sua apertura, nascosta fra gli scogli coperti di alghe e piante marine e quasi turata dalla arena trasportatavi dai flutti, a pochissimi era nota. Attualmente essa è rimasta così ingombra che non può discernersi se non se da colui che abbiala veduta assai anni addietro. Il sotterraneo, che si estendeva molte e molte braccia, penetrava al di sotto della chiesa attuale: e nei primi secoli del cristianesimo, quando nei luoghi dell'attuale chiesa vi era un convento, probabilmente quella galleria, comunicando colle tombe della chiesa del cenobio, aveva servito di ritiro alle meditazioni di quei religiosi e forse di nascondiglio a non pochi dei primitivi cristiani, furiosamente perseguitati dai pagani, signori del mondo. (...)
Ma ritorniamo a noi: come io dunque diceva, il sotterraneo aveva la sua entrata fra gli scogli e dopo un cento passi la volta si faceva stretta, ed il terreno si approfondava con sensibile declivio; tal che, camminando fra quelle tenebre, avresti creduto di essere entrato in quello da cui il vecchio Enea passo passo se ne andò alle porte dell'Averno. Il mio sotterraneo peraltro non era tanto lungo; poiché dopo circa quattrocento passi si arrivava ad un ripiano che formava un quadrilatero non disdicevole ad una grandiosa sala da ballo; le muraglie erano tutte di tufo e di conchiglie. Questa sala, tutta a volta spaziosa, comunicava con due lunghe gallerie; da queste metteva in altri due salotti più lontani e più grandi del primo; sicchè, come ognun vede, quella gran sala potea dirsi l'anticamera, e le altre potevano essere usate per luogo di numerosa riunione. È facile l'imaginare come quel luogo offrisse tutto il comodo di parlare ad alta voce, poiché quelle pareti non avevano orecchie, ed il suono non avrebbe giammai oltrepassato il palco della spessezza di un terzo di miglio di terreno. Egualmente impossibile sarebbe stato a qualunque curioso il sentire il cicaleccio di coloro che erano dentro stando all'estremità della grotta, sì perché lo avrebbe impedito la lontananza (...) Ecco dunque che la nostra caverna era più che idonea al misterioso ritrovo di quei fanatici, i quali si eran posti in idea di rinnovellare il mondo sociale, tanto per tutelare la loro personal sicurezza quanto per la libertà di parlare a voce alta; il che suole accadere bene spesso in quel genere di assemblee. (…) La prima sala delle catacombe aveva per pavimento il nudo suolo; quella a cui metteva l'ala destra del sotterraneo quando dalla sala si partiva in due era tutta sul pavimento coperta di un largo tavolato di grosso legno, il che dimostra che coloro i quali ne facevano uso avevano cura di tenere i piedi all'asciutto, o per qualche altra ragione adesso a noi sconosciuta avranno creduto bene che quel pavimento dovesse essere di grosse tavole di abete. La sala che noi abbiam descritto non aveva che un rozzo e gigantesco tavolo tondo con intorno una quantità di sedili dell'istessa forma e rozzezza. Alle pareti erano attaccati grossi anelli di ferro i quali sorreggevano dei candelabri tutti rugginosi dalla salsa umidità, sovrapposte ai quali grosse padelle di metallo con entro strutto o sevo e bitume, che una volta accese tramandavano tal rossa e funebre luce da far abbrividire qualunque buon cristiano; e siccome il fumo avrebbe certamente soffocati coloro che si fossero radunati in quella profonda caverna, al di sopra di quelle bizzarre e quasi infernali lucerne esisteva scavata nel tufo una specie di cappa non dissimile da quella dei nostri camini, la qual cappa metteva nel corridore primo del sotterraneo, da dove il fumo usciva per la imboccatura della grotta. La sala da noi descritta conteneva appesi al muro grossi triangoli di ferro, simili assai alle nostre graticole su cui poniamo le casserole e le pignatte, i quali triangoli, per quanto assicurano gl'intelligenti in materia di sette, erano altrettanti oggetti indispensabili a quei fanatici.
Oltre i triangoli, vi avevano in quel luogo varie forchette a tre denti, dei dadi a tre facce, in somma il numero tre era molto ripetuto in quel luogo; ed in un quadro di grossolana pittura si mirava finalmente entro un triangolo dipinto uno sterminato occhio di bove. Quella sala era chiamata sala del comando o del gran maestro, poichè era in quella che gl'iniziati alla setta dovevano subire le strane prove per la definitiva ammissione e proferire il più terribile giuramento. La seconda sala, quella in cui metteva la galleria a sinistra, era chiamata sala d'aspetto, e là avevano luogo le abluzioni dei candidati, ed ivi si vedeva una gran vasca ad uso di bagno, un gran camino per scaldare le acque, caldaie, paioli, ecc., in somma vi erano tutti gli oggetti indispensabili alla cerimonia: quella sala era detta ancora la sala della purgazione".(Cesare Monteverde, I Demagoghi o I misteri di Livorno, Luigi Cioffi Editore, Milano, 1862 Pagg 39 - 41)
Un doveroso e sentito ringraziamento al comitato " Il gioiello dimenticato", che ha restituito alla città un luogo tanto caro e prezioso.
Fonti:
Prima di concludere, voglio condividere con i lettori una suggestiva ipotesi, sull'uso della cripta verso la fine del 1800, che viene suggerito da Cesare Monteverde, nel suo romanzo "I demagoghi o i misteri di Livorno:
"Lungo la scogliera delle spiagge di San Iacopo esisteva una sotterranea galleria scavata nel tufo. Forse le onde del mare coll'andare dei secoli addentrandosi nella terra aveano formato quella volta naturale; e l'acqua col volger del tempo ritirandosi aveva lasciato asciutto quel sotterraneo. La sua apertura, nascosta fra gli scogli coperti di alghe e piante marine e quasi turata dalla arena trasportatavi dai flutti, a pochissimi era nota. Attualmente essa è rimasta così ingombra che non può discernersi se non se da colui che abbiala veduta assai anni addietro. Il sotterraneo, che si estendeva molte e molte braccia, penetrava al di sotto della chiesa attuale: e nei primi secoli del cristianesimo, quando nei luoghi dell'attuale chiesa vi era un convento, probabilmente quella galleria, comunicando colle tombe della chiesa del cenobio, aveva servito di ritiro alle meditazioni di quei religiosi e forse di nascondiglio a non pochi dei primitivi cristiani, furiosamente perseguitati dai pagani, signori del mondo. (...)
Ma ritorniamo a noi: come io dunque diceva, il sotterraneo aveva la sua entrata fra gli scogli e dopo un cento passi la volta si faceva stretta, ed il terreno si approfondava con sensibile declivio; tal che, camminando fra quelle tenebre, avresti creduto di essere entrato in quello da cui il vecchio Enea passo passo se ne andò alle porte dell'Averno. Il mio sotterraneo peraltro non era tanto lungo; poiché dopo circa quattrocento passi si arrivava ad un ripiano che formava un quadrilatero non disdicevole ad una grandiosa sala da ballo; le muraglie erano tutte di tufo e di conchiglie. Questa sala, tutta a volta spaziosa, comunicava con due lunghe gallerie; da queste metteva in altri due salotti più lontani e più grandi del primo; sicchè, come ognun vede, quella gran sala potea dirsi l'anticamera, e le altre potevano essere usate per luogo di numerosa riunione. È facile l'imaginare come quel luogo offrisse tutto il comodo di parlare ad alta voce, poiché quelle pareti non avevano orecchie, ed il suono non avrebbe giammai oltrepassato il palco della spessezza di un terzo di miglio di terreno. Egualmente impossibile sarebbe stato a qualunque curioso il sentire il cicaleccio di coloro che erano dentro stando all'estremità della grotta, sì perché lo avrebbe impedito la lontananza (...) Ecco dunque che la nostra caverna era più che idonea al misterioso ritrovo di quei fanatici, i quali si eran posti in idea di rinnovellare il mondo sociale, tanto per tutelare la loro personal sicurezza quanto per la libertà di parlare a voce alta; il che suole accadere bene spesso in quel genere di assemblee. (…) La prima sala delle catacombe aveva per pavimento il nudo suolo; quella a cui metteva l'ala destra del sotterraneo quando dalla sala si partiva in due era tutta sul pavimento coperta di un largo tavolato di grosso legno, il che dimostra che coloro i quali ne facevano uso avevano cura di tenere i piedi all'asciutto, o per qualche altra ragione adesso a noi sconosciuta avranno creduto bene che quel pavimento dovesse essere di grosse tavole di abete. La sala che noi abbiam descritto non aveva che un rozzo e gigantesco tavolo tondo con intorno una quantità di sedili dell'istessa forma e rozzezza. Alle pareti erano attaccati grossi anelli di ferro i quali sorreggevano dei candelabri tutti rugginosi dalla salsa umidità, sovrapposte ai quali grosse padelle di metallo con entro strutto o sevo e bitume, che una volta accese tramandavano tal rossa e funebre luce da far abbrividire qualunque buon cristiano; e siccome il fumo avrebbe certamente soffocati coloro che si fossero radunati in quella profonda caverna, al di sopra di quelle bizzarre e quasi infernali lucerne esisteva scavata nel tufo una specie di cappa non dissimile da quella dei nostri camini, la qual cappa metteva nel corridore primo del sotterraneo, da dove il fumo usciva per la imboccatura della grotta. La sala da noi descritta conteneva appesi al muro grossi triangoli di ferro, simili assai alle nostre graticole su cui poniamo le casserole e le pignatte, i quali triangoli, per quanto assicurano gl'intelligenti in materia di sette, erano altrettanti oggetti indispensabili a quei fanatici.
Oltre i triangoli, vi avevano in quel luogo varie forchette a tre denti, dei dadi a tre facce, in somma il numero tre era molto ripetuto in quel luogo; ed in un quadro di grossolana pittura si mirava finalmente entro un triangolo dipinto uno sterminato occhio di bove. Quella sala era chiamata sala del comando o del gran maestro, poichè era in quella che gl'iniziati alla setta dovevano subire le strane prove per la definitiva ammissione e proferire il più terribile giuramento. La seconda sala, quella in cui metteva la galleria a sinistra, era chiamata sala d'aspetto, e là avevano luogo le abluzioni dei candidati, ed ivi si vedeva una gran vasca ad uso di bagno, un gran camino per scaldare le acque, caldaie, paioli, ecc., in somma vi erano tutti gli oggetti indispensabili alla cerimonia: quella sala era detta ancora la sala della purgazione".(Cesare Monteverde, I Demagoghi o I misteri di Livorno, Luigi Cioffi Editore, Milano, 1862 Pagg 39 - 41)
Un doveroso e sentito ringraziamento al comitato " Il gioiello dimenticato", che ha restituito alla città un luogo tanto caro e prezioso.
Fonti:
- Giuseppe Vivoli, Annali di Livorno, dalla sua origine all'anno di Gesù Cristo 1840, Tomo Primo e Secondo, Sardi – Livorno, 1842
- Giuseppe Piombianti, Guida storico artistica della città e dei contorni di Livorno, Gio Marini Editore, Tipografia Mannini 1873
- Carlo Tesi, Livorno dalla sua origine sino ai nostri tempi, Serraglini, Livorno 1897
- Comitato "il gioiello dimenticato", Tra storia e leggenda, La cripta di San Jacopo e il suo territorio, Editasca, Livorno, 2014
- Nicola Magri, Stato antico e moderno, ovvero origine di Livorno in Toscana dalla sua fondazione sino all'anno 1646, G.Cambiagi, Firenze, 1769
- "Livorno Magazine" N. 0 - Gennaio 2007
- Cesare Monteverde, I demagoghi o I misteri di Livorno, E. Cioffi Editore, Milano, 1862
Bellissimo. Al termine è indicato con XIX quello che in realtà è il XX° sec.
RispondiEliminaGrazie per il suggerimento, provvedo alla correzione.
EliminaSe qualcuno è interessato alla visita della Cripta di San Jacopo:
RispondiEliminaIl Comitato "Il gioiello dimenticato" è lieto di annunciare, che dopo il completamento del restauro, sono riprese le visite guidate (ingresso libero) all'antica "CRIPTA" della Chiesa di San Jacopo in Acquaviva con le seguenti modalità: LUNEDI' dalle ore 10,00 alle ore 11,00 - VENERDI' dalle ore 16,00 alle ore 17,00 - Per i gruppi di almeno n° 8 persone, a cui non vanno bene i sopracitati giorni e orari, contattare il 334-1469288, il 328-9038990 e il 328-2212307.
Se qualcuno è interessato alla visita della Cripta di San Jacopo:
RispondiEliminaIl Comitato "Il gioiello dimenticato" è lieto di annunciare, che dopo il completamento del restauro, sono riprese le visite guidate (ingresso libero) all'antica "CRIPTA" della Chiesa di San Jacopo in Acquaviva con le seguenti modalità: LUNEDI' dalle ore 10,00 alle ore 11,00 - VENERDI' dalle ore 16,00 alle ore 17,00 - Per i gruppi di almeno n° 8 persone, a cui non vanno bene i sopracitati giorni e orari, contattare il 334-1469288, il 328-9038990 e il 328-2212307.