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IL PALAZZO DE LARDEREL A LIVORNO





In via de Larderel si trova uno dei palazzi più belli di Livorno. Amareggia, e non poco, il vederlo in stato di avanzato degrado. In particolare per quanto riguarda la sua facciata, abbellita da ponteggi ormai divenuti perenni.
Un palazzo che trasuda storia, sede del tribunale civile, del giudice di pace e del lavoro.Attraverso le parole del Piombanti ripercorreremo le varie tappe della sua costruzione.
La sua costruzione fu iniziata nel 1832, così come ci viene testimoniato da una lapide nell'atrio del palazzo:

MDCCCLVIII
 Qui dove già si apriva suburbano campo
infecondo  nel MDCCCXXXII fu posta la prima pietra
 di questa abitazione
 cui Francesco de Larderel
 conte di Montecerboli
 le arti paesane giovando innalzava
perché fosse agiata a se alla famiglia
 felice degli ospiti
graziosa a tutti.



"In Via De Larderel n. 21 trovasi il palazzo di questa ricca e nobile famiglia, il cui capo conte Francesco De Larderel ha creato e dato un immenso sviluppo all'industria del borace in Italia, creando nel medesimo tempo la propria fortuna.
Sotto il granduca Pietro Leopoldo, nei fumacchi di Val di Cecina presso Monterotondo, fu scoperto l'acido borico, ma non se ne cavò quasi niun profitto. I1 conte Francesco De Larderei, nato in Vienna di Francia nel 1790 e venuto ad abitar fra noi, acquisiva con altri quel luogo nel 1818, e, ponendo in opera con lunga e costante perseveranza, ogni suggerimento della scienza e dell' arte , giunse ad ottenere tal felice resultato che, come dice il Contrucci, emancipò l'Europa dalla Cina e dal Giappone, onde il borace le veniva per mano degli Olandesi. Presentemente quei lagoni producono oltre due milioni di chilogrammi di borace all' anno!

Il conte Francesco fu uomo di molto ingegno, buono, caritatevole, generoso, splendido incoraggiatore delle arti e della industria , onorato mediamente dalle corti d' Europa ; morì il 15 Giugno 1858. Benedetto in vita, fu pianto in morte, come si piange involato tesoro.



Egli si fece fare una casa dal Calocchieri nel 1832, ai lati della quale il prof. Gherardi costruì, nove anni dopo, due palazzette. Desiderando poscia il conte di formare con quelle tre differenti case un palazzo, che avesse esternamente unità di stile e nello interno perfetta comunicazione, ricusarono la difficile impresa il Gherardi stesso e l' ingegner Bettarini ; allora se ne incaricò il livornese Ferdinando Magagnini (1850).
Considerando che quel palazzo è una riduzione, e che si dovettero superare non comuni difficoltà, servendo alle fabbriche già esistenti, esso è opera al certo non isgradevole, e l'architetto ne ottenne un ben meritato elogio.
Il frontespizio del palazzo

La sua facciata corintia è sormontata da un frontespizio in cui sono scolpiti dal prof. Magi strumenti d'agricoltura, di commercio e di meccanica, in mezzo ai quali si vede la grandiosa arme della nobil famiglia De Larderel.
Il progetto del palazzo

Il cortile principale ad una bella e grandiosa scala di marmo conduce, divisa in due parti, le quali in un elegante vestibolo si riuniscono al primo piano. Vi si ammirano i diciotto modelli d'altrettante statue, erette a grandi Italiani sotto la Galleria degli Uffizi a Firenze. '





I detti modelli originali sono: di Francesco Accursio, del Petrarca, del Mascagni, di Giotto, di Galileo, del Kedi, di Guido Aretino, del Guicciardini, di Leon Battista Alberti, del Boccaccio, dell'Orgagna, di Cosimo Padre della patria, del Machiavelli, di Dante, d' Andrea Cisalpino, di Pier Antonio Micheli, di Leonardo da Vinci, di Niccola Pisano.
Entrando nel vasto appartamento, ornato di supellettili e mobili preziosi, s'incontra a destra la sala dei ritratti di famiglia, eseguiti da Gordigiani, Rapisardi, Kasser, e Chelli, con ricche cornici intagliate e dorate, tra le quali è da osservarsi quella del fu conte Francesco, lavorata con rara abilità dal cav. Barbetti. Sonovi ancora alcuni quadri di decorazione, e molto belle porcellane di Sassonia.




Nell'annessa galleria lunga si conservano oltre sessantasette quadri non grandi, tra moderni ed antichi, con alcune statue e parecchi busti marmorei; poi trofei, armi antiche, lavori di cesello e d'avorio, smalti, bronzi, terre della Robbia, vasellami di diverse fabbriche, minerali, mummie, stipi, ed altre cose pregevoli o rare. Quindi s'entra nella superba sala grande, ove si trova una scelta collezione di quadri, fra i quali meritano special menzione una sacra Famiglia in tavola di Luca Signorelli, una Leda d'Annibale Caracci, e tre teste, studio del medesimo artista, una sacra Famiglia d'Alessandro Botticelli, un S. Giovanni nel deserto di Murillo, un bozzettodi Paolo Veronese, un miracolo di S. Antonio di Tiziano; altri sono di scuola fiamminga, di scuola veneziana , di quella di Raffaello , di Guido Reni ,di Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino, di Salvator Rosa, dello Spagnoletto, dello Snyders, ecc; alcuni d' autori moderni. Le due lunette della sala son frescate dal prof. Morelli, e rappresentano deità pagane. Intorno alla medesima son collocate diverse statue di marmo cioè: una Leda col cigno, e la fiducia in Dio, da quella del Bartolini, buone opere d'Enrico Mirandoli; una ninfa del Bacci; un grazioso amor cacciatore del Pampaloni; un gruppo di Ulisse Cambi; un altro di due giovani d'ignoto; un giovanetto del Demi riprodotto dal greco; un'altra ninfa.
Poi i busti del conte Francesco e della sua moglie del prof. Magi; sulla base del primo si legge:
Arti nuove e ricchezze nuove ebbe da lui Italia; sopra quella del secondo: Ove egli pose l'ingegno, ella il cuore.
Finalmente ci si ammirano due vasi del Giappone di non comune grandezza e pregio, e due maggiori della fabbrica di Sevres, con pitture ed ornamenti di bronzo dorato di bellissima forma.
La sala da ballo, fatta dal prof. Gherardi, con colonne ioniche di marmo, bassirilievi, specchi, dorature, ed orchestra, è d' una architettura ed invenzione di singolare eleganza, nel cui soffitto il Barilli dipinse il progresso con molta arte di disegno e colorito. Il primo salotto sulla facciata è di stile gotico. Le pareti, le bussole, le finestre, le imposte, son coperte di analoghi intagli di legno dorato, alternati con piccoli quadretti di moderni artisti, e la mobilia è dello stesso stile ; cosicchè forma un gabinetto d'architettura e di scultura gotica di genere nuovo e sorprendente, che onora il Magagnini suo autore.



C'è pure una tavola di pietre dure. Nel secondo salotto, di color turchino, esistono nove quadri di decorazione. L'altro giallo è ornato da undici tavole in campo d'oro, tra le quali si distinguono quella molto pregevole dell' Orgagna, rappresentante il giudizio universale, e l' altra del Ghirlandaio esprimente il presepio. Il quarto salotto rosso, dipinto nel soffitto- da Cesare Maffei, ha ventidue quadri, compresi due paesaggi della scuola di Salvator Rosa e due di fiorami di Seghers.
Passando nel salotto celeste, si vede una copia della comunione di S. Girolamo del Domenichino eseguita dal Chelli; Socrate coi discepoli del prof. Benvenuti; ed un coro di monache bel lavoro di Vincenzo Chialli. Nella ricca ed elegante cappella di famiglia, sacra alla Madonna di Montenero, e benedetta da mons. Gavi li 28 Agosto 1852, s'ammirano trentanove dipinti, di scuola antica, alcuni dei quali pregevolissimi.
Ve ne ha di Giotto, d' Orgagna, di Starnina, di Taddeo Gaddi, di Benozzo Gozzoli, del Lippi, del Botticelli, del Ghirlandaio, d' Andrea del Castagno, della scuola delPerugino e di Raffaello. Scendendo nel grande salotto terreno, tra le altre opere d' arte, sono da osservare ventidue quadri di diverse scuole, e i busti in bronzo del conte Francesco e della contessa Paolina sua consorte, fusi da Dantan. In una stanza vicina è la veduta dei lagoni, e quella di Larderello. La impostaci brevità ci fa omettere la descrizione di altre parti di questo vasto e sontuoso palazzo (ornato d'un giardino di molta bellezza), che tanto onora la memoria di colui che lo inalzò , il quale ha lasciato nel conte Federigo suo figlio un degno erede della paterna munificenza e filantropia, onde è giustamente amato dai suoi concittadini, non che dalle popolazioni del non più spaventoso Monte di Cerbero, che tale un ghiaccio per le vene gli corse , da alterargli lo stato normale di sua salute , e farlo vittima a poco a poco del suo micidiale terrore".



In una nota l'autore ci riferisce un testimonianza sulla cattiva fama che godeva, a quei tempi, Montecerboli:
"Montecerboli è contrazione di Monte di Cerbero. I fumacchi roventi di quegl' incolti e deserti luoghi (ora ridenti ed abitati da lieti operai) erano creduti dalla plebe quasi sfiatatoi dello inferno, ed il rauco loro rumore, latrato di cane d'averno. Per la qual cosa quei posti venivano studiosamente fuggiti. E narrano d'uomo, costretto nottetempo a passarci, che tale un ghiaccio per le vene gli corse , da alterargli lo stato normale di sua salute , e farlo vittima a poco a poco del suo micidiale terrore".
Il pover'uomo sarà morto a causa delle esalazioni che il luogo emanava e poco c'entra il povero Cerbero.

Voglio aggiungere ancora qualche parola sul palazzo, la sua cotruzione ed inserire qualche ulteriore immagine.
La costruzione del palazzo iniziò nel 1830, in Via dei Condotti Nuovi, su un appezzamento di terreno acquistato dai fratelli Chiellini. Un primo nucleo abitativo fu progettato da Riccardo Calocchieri ed ultimata nel 1832.
Nel 1837, Gaetano Gherardi, ne curò l'ampliamento, ultimato nel 1839. Furono costruiti i due corpi laterali, sostenuti da capitelli di ordine corinzio.
Nel 1845 i lavori non erano ancora stati ultimati e gli interni erano allo stato grezzo, subentra alla direzione dei lavori l'architetto Magagnini, che riuscirà ad armonizzare le diverse parti della cotruzione, unificandole nel più sontuoso palazzo di Livorno.
Palazzo de Lardarel - Lo scalone d'onore
Lo scalone d'onore

Ancora la scalone d'onore con i modelli delle statue degli Uffizi di Firenze

Galleria laterale

Ingresso della sala da ballo
























Vi consiglio, vivamente, di vedere le immagini degli interni del palazzo, che Caterina Salvi ha realizzato per il FAI


Gli interni del palazzo de Larderel, immagini di Caterina Salvi.

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