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MONUMENTO A FERDINANDO I, DETTO DEI QUATTRO MORI


Ferdinando Tacca, particolare in "Inaugurazione del monumento a Ferdinand I" - A. Gatti, pittura murale in Villa Mimbelli


Ripercorriamo la storia di questo monumento livornese attraverso le parole del Piombanti, nel suo libro "Guida storico artistica della città e dei contorni si Livorno", p. 427
"Avendo il granduca Ferdinando I, per mezzo dei cavalieri di S. Stefano, ottenuto splendide vittorie sui barbareschi, fatto gran numero di prigionieri, conquistati bastimenti, cannoni, e ricchezze, volle erigere un monumento insigne, che perpetuasse la memoria di queste gloriose gesta, sulla darsena stessa da lui, con sorprendente celerità, scavata, e nella quale sovente, volte le sue valorose galee avevan ripiegato le vele ricoperte di gloria e di bottino.

Commise per tanto a Giovanni Bandini da Firenze l' esecuzione di una statua colossale di marmo, che lo rappresentasse colle divise di gran maestro dell' Ordine di S. Stefano, guardante il mare, coll' intendimento di fare appresso gettare in bronzo quattro di quegli scellerati corsari, che infestavano e derubavano i nostri mari e le nostre spiagge, con danno grandissimo del commercio, delle sostanze e delle famiglie, e di farli incatenare ai piedi suoi anche a salutar terrore di tutti gli altri. ' Se la statua di Ferdinando non è un capo d'opera, artisticamente considerata, pregevolissime son quelle dei quattro colossali schiavi, esprimenti quattro differenti età della vita, fuse da Pietro Tacca di Carrara, allievo di Giovan Bologna, nelle quali si ammira (specialmente in tre), armoniosa proporzione, bellezza di forme, naturalezza d' atteggiamenti e d'espressione, studio d'anatomia, e tale pieghevolezza di membra che tu non le diresti di duro bronzo plasmate, ma si d' umana carne tinta col colore del bronzo".


"Ai piedi del granduca stavano armi, vesti, trofei barbareschi, disegnati dallo stesso artista, e fusi da Taddeo di Michele suo scolare; nella parte anteriore della base erano scritte, secondo un fresco del Volterrano, le seguenti parole:
Colma di gelo il cor
D'orror la fronte
Africa sbigottita
Asia tremante
Mira, o gran Ferdinando
Alle tue piante
Incatenato il Nil
Servo l'0ronte. '
Bello ed onorevole per la patria fu pure il concetto dell' esimio artista , oltre alla ragione storica che narrammo, di collocare l'opera sua rimpetto al principale scalo che in quel tempo esisteva, affinché i numerosi stranieri che vi approdavano, ammirassero il bellissimo monumento, e si ricordassero che quella terra, sulla quale erano per posare il piede, era la patria di Michelangiolo e di Raffaello, era la terra amata dalle Arti belle e dalle Muse"

"Che poi il monumento sia stato ideato da Ferdinando pel fine indicato da principio, lo dice il monumento stesso a chi l'osserva, e meglio lo diceva prima che fosse derubato, lo dice il luogo sul quale è collocato, lo dice la storia, e lo confermano alcuni particolari documenti, tra i quali uno pubblicato da Niccola Ulacacci, del 1607, da cui si rileva che il medesimo Ferdinando mandò il Tacca a Livorno per prendere i modelli in cera dai più belli schiavi del bagno. Inoltre il Repetti nel suo Dizionario, il Grassi nella Guida di Pisa, ed altri scrittori affermano che, per la fusione dei mori, furono adoperati i cannoni conquistati agli infedeli".
Inaugurazione del monumento a Ferdinand I - A. Gatti, pittura murale in Villa Mimbelli

Il P. SantiIli (Tom. 5 Manos.) aggiungeva. « Che il Tacca prendeva il modello dei quattro schiavi dai Turchi che erano nel Bagno di Livorno al suo tempo ben complessi, e ben muscolati, ed in ispecie da uno detto ilMorgiano nativo di Algeri , e da un' altro più vecchio chiamato Ali Salettino ; e che i modelli stavano in Firenze nel cortile della Scuola del Disegno in Pinti ove abitava già il sullodato Tacca”.






"Colpito quel granduca dalla morte, l'esecuzione del monumento venne sospesa, ed ebbe effetto sotto i due suoi successori, i quali altre vittorie riportarono sui perpetui nostri nemici.
 La statua di Ferdinando stette circa 16 anni nella piazzetta della darsena, e fu posta sul suo piedestallo, con molta festa, alla presenza di Cosimo II li 29 Maggio 1617; sei anni dopo misero ai piedi della medesima i trofei militari; il 10 Maggio 1623 le prime e più eccellenti statue davanti, e nel 1625 le altre due".
Il Razzaguta, nella sua "Livorno Nostra" :
"La statua del Granduca Ferdinando I, scolpito nel 1599 Giovanni Bandini detto “dell'Opera”. Fu innalzata nella stupenda base del Tacca il 29 maggio 1617 Il 10 marzo 1621 il Tacca propose alle tutrici del minorenne Ferdinando II di sostituire la statua del Bendini con una rappresentante “La Religione di S. Stefano”. Non fu approvato e allora si accontentò di arricchire il monumento con le quattro statue dei Mori che modellò e mise al posto: due anteriori nell'anno 1623 e due posteriori nel 1626. Il monumento doveva essere fiancheggiato da due fontane che il Tacca eseguì e che furono invece collocate a Firenze in piazza della SS. Annunziata.
Nel 1622, su disegno del Tacca, il suo allievo Taddeo di Michele modellò, forse in bronzo, e collocò ai piedi di Ferdinando, armi, vesti e trofei barbareschi".


Il monumento subì un durissimo attacco durante l'occupazione francese:
"Il general Miollis, conduttore dei repubblicani francesi a Livorno, sembra vedesse le cose alquanto differentemente dagli altri. Per lui questo monumento era un insulto all'umanità; i ladri di mare, effigiati in quei bronzi, non erano che quattro valorosi sventurati; Ferdinando che li aveva battuti e vinti, e poi legati in immagine ai propri piedi, un mostro di ferocia !
Quindi scrisse una lettera al Comune , invitandolo a voler sostituire la statua della libertà a quella del
tiranno, in atto di schiacciargli la te sta colla picca".
Questa la lettera che il generale Miollis scrisse il 21 Aprile 1799, diretta al Municipio di Livorno.
"Un solo monumento esiste in Livorno. ed è un monumento della tirannide, che insulta 1' umanità.
 Quattro sventurati, cento volte più valorosi del feroce Ferdinando che li calpesta, incatenati al suo piedestallo, offrono da trecento anni ( non erano neppur duecento ), spettacolo affliggente, appena si mette il piede sul porto. I sensi del dolore, dello sdegno, del disprezzo, e dell'odio devono necessariamente agitare ogni anima sensibile che ivi si avvicini. Vendichiamo l'ingiuria fatta all'umanità. Compiacetevi, cittadini, il' ordinare che la statua della libertà sia sostituita a quella di questo mostro. Con una mano ella spezzi le catene dei quattro schiavi, con l'altra schiacci con la picca la testa a Ferdinando, disteso al suolo.
Salute e Fratellanza.
Miollis”.
Nel marzo del 1799 il monumento di Ferdinando I, attirò le attenzioni delle truppe francesi che avevano occupato Livorno. Incisero le gambe della statua del Granduca e la gettarono a terra.
Lo stesso generale Miollis, fermò l'opera di distruzione proponendo di mettere sul piedistallo una statua che raffigurasse la Libertà, nell'atto di tagliare la testa a Ferdinando I con una mano e con l'altra liberasse i Quattro Mori dalle catene. Il caso volle che i Franscesi, di lì a meno di un anno lasciassero Livorno non senza fare razzia dei "Trofei Barba
reschi" che erano ai piedi del monumento.
Il Santelli ci dice che si trattava di "un manto reale barbaresco disteso come per strato, il Regio Turbante, la Scimitarra, l'Arco, il Turcasso e le Frecce".
In un'altra testimonianza troviamo: 
"Ai tempi dei sedicenti Repubblicani Francesi del 1797 corsero un grande pericolo di essere abbattuti ed infranti come monumento di tirannide e di dispotismo. Il Generale Miollis però onde salvare un'opera cotanto pregevole immaginava accortamente di conservare quei Mori acciò rappresentassero i quattro vizi capitali , figurando dovessero stare incatenati ai piedi della Statua della Virtù, che verrebbe sostituita a quella del Tiranno, (siccome allora appellavasi), la quale era già stata atterrata. Ma egli non poté quindi impedire che dagl' ingordi Commissari Francesi nella stessa occasione venissero involati e distrutti i bellissimi ornamenti, gli emblemi , le vesti, e le armi Turche, che in bronzo adornavano la base della Statua di Ferdinando, lavoro quello pure squisitissimo del celebre Tacca.
Dal nostro Cronista Capitano Masini (Manoscritto) sappiamo finalmente che lo stesso regnante Gran-Duca Cosimo II assisteva personalmente in Darsena alla erezione della Statua rappresentante il padre suo, quando nel 24 di Aprile del 1617 si collocava sulla grandiosa base di marmo , che ivi era stata preparata, ed ove tuttora si vede".
(G. Vivoli, Annali di Livorno, Tomo IV, 1846)


 Altra testimonianza, che poco si discosta da quella del Miollis, e che offre uno spunto di riflessione è quella del Guerrazzi (L'Assedio di Firenze capitolo 28)

"Quale impresa rammemora il monumento di Ferdinando? Nessuno lo sa.  La storia tace.
Durino le loro statue; non le logori il tempo, la inclemenza dei cieli non le offenda: i principi hanno elevato con le loro mani il proprio supplizio;
ogni uomo sa dove lanciare una maledizione: assai lunghi anni si conserveranno così.
Quando mutilate cadranno ingombrando, masse deformi, il terreno, possa urtarvi dentro il cieco e rifiutarle, esecrandole , per seggio dove aspettare l' elemosina del popolano che passa”
Il Piombanti commenta le amare parole di Guerrazzi, rimproverandolo aspramente: "In verità non è punto gradevole lo spettacolo d' un insigne letterato livornese che ignora il significato di tal monumento, e scaglia maledizioni contro il fondatore della sua città natale!
Se Ferdinando non fosse stato, che cosa sarebbe Livorno ? E se stato non fosse Livorno che sarebbero tutti coloro che stoltamente hanno maledetto e maledicono Ferdinando, mentre fecero la loro fortuna nella città da lui edificata ?”
A seguito della lettera del Miollis:
"L'architetto Fortini atterrò la statua del granduca, per ordine di quel Municipio, ma ivariati tempi non permisero di fare il resto, poiché il 23 Luglio 1799 fu rimessa al suo posto festosamente, dopo d'averla restaurata, e Leopoldo Guerrieri, dei cacciatori volontari, lesse e stampò un discorso commemorativo. I trofei militari però più non si videro ai piedi di Ferdinando, imperciocchè coloro che avevano encomiato i pirati li avevan portati via.
Lo stupendo gruppo dei quattro mori, studiato da molti artisti, ed assai danneggiato dal tempo,trovasi al presente in un luogo impraticabile e indecentissimo, il quale fa veramente vergogna alla città nostra.
Fino dal tempo del Miollis il Municipio aveva determinato di trasferirlo in Piazza d' Arme, ma noi fece per la troppa spesa; una simile determinazione fu presa il 30 Ottobre 1861, ed anche questa rimase lettera morta. Undici anni dopo, venne affidato il giudizio definitivo, sulla questione del traslocamento, ad una commissione composta dei professori G. Dupré, E. Pollastrini e G. Paganucci, i quali furono di parere che si dovesse sgombrare ed ornare la piazzetta dove si trova, per poi collocarlo, restaurato, nel centro della medesima, non potendosi scegliere, dicevano giustamente, altro luogo in cui esso possa conservare il suo significato storico, e nel quale tutto concorra a completarne il concetto artistico.
Il Municipio, dopo di averli invitati e sentiti, fece loro il complimento di decidere un' altra volta, li 25 Maggio 1873, che fosse trasportato in Piazza d'Arme.
La lite venne portata al ministero dei lavori pubblici il quale, udito il parere di nuovi artisti, dette torto al Municipio, e questo decise nuovamente di volerli nella suddetta piazza (Gennaio 1874).
È stato scritto e sostenuto che questo monumento non istà a rappresentare le vittorie riportate, sotto Ferdinando I, sui barbareschi dai cavalieri di S. Stefano, e che molto meno fu ideato dal medesimo granduca; ma da quanto abbiamo fin qui narrato risulta il contrario. Inoltre: che le statue degli schiavi ci furon poste senza nessun significato storico, e per iscopo meramente decorativo ; tale asserzione ripugna al senso comune ; imperocchè qual uomo di senno incatenerebbe alla base della statua d'un sovrano quattro schiavi, senza nessuna relazione alla sue gesta, come ci porrebbe quattro colonnini o quattro mascheroni? E questo onore si vorrebbe fare ad un artista qual fu Pietro Tacca, non parlando di chi glielo avrebbe ordinato? In fine: che il concetto più razionale del monumento si è che sia stato fatto per commemorare la. fondazione della città di Livorno, operata appunto da Ferdinando I. A me poi sembra, e non sarò solo, che il voler fare rappresentare la fondazione di Livorno da una statua di Ferdinando I, circondata da quattro schiavi moreschi incatenati a suoi piedi, sia il concetto meno razionale che possa formarsi nella mente di chi conosce la storia della nostra città.
Queste osservazioni non son dirette ad offender nessuno, ma hanno solamente il fine di porre la storia del nostro monumento nel suo verace aspetto, essendo stata per avventura con troppa leggerezza alterata".
Durante la seconda guerra mondiale, per proteggere il monumento dai bombardamenti, fu smontato e portato prima al Cisternino e poi in un luogo tenuto segreto.
Si è saputo solo successivamente che furono messi in riparo nella tenuta medicea di Poggio a Caiano.


Gastone Razzaguta, visse con grande sconforto l'allontanamento del monumento e scrisse un componimento che esprimeva le sue sensazioni:
Nel 1942 per preservarle dai possibili danni della guerra le statue di Ferdinando I e dei quattro mori vennero tolte dalla base e portate in salvo al Cisternino e di lì presero in seguito altra strada. E ora dove sono? Torneranno un giorno al loro posto? 
Non si può nemmeno pensare che no. Sì i quattro mori torneranno alla “loro” Livorno. E perché non dovrebbero venire portate a Livorno. Anche le sue deliziose fontane con figurazioni del mare il Tacca modellò proprio per l'insieme del monumento di Livorno? Qual danno per Firenze che ha sì gran dovizia d'inestimabilità opere d'arte?
Intanto il pezzo è stato scritto mentre la base è un troncone che emerge tra l'erba e lo squallore delle rovine intorno. Una visione che stringe il cuore... (p.155)


Vi riporto l'intero componimento:
" I Quattro Mori”
Quattro mori dove siete?
Qual libertà han dato alle vostre braccia create per la catena che vi legavan alla base e a Livorno? Non più la Darsena non più il Mastio vedete. Non più il libeccio vi deterge né il solleone vi fa grondar di sudore.
Dove siete?
Ognuno di voi guardava un differente punto cardinale e vedeva differenti cose e sempre quelle. Morgiano il giovane non fissava che il cielo eppure il sole mai lo abbacinò. Melioco il vecchio coi molti anni e le rughe, guardava il cantiere e vide tutti i vari.
Ma gli altri due mai più videro il mare,voltati alla terra. Erano le apparenze queste, ma quando nessuno era attorno a voi, nelle notti senza luna il prodigio si compiva e voi girando la testa guardavi e vi parlavi. E forse chissà che il portento non arrivasse a liberarvi dalle catene e sceso lo scalino e sgranchite le membra, chissà se neri come la notte buia, non andavi come una volta assieme, medesima famiglia venuta d'Algeri.
In quelle vostre girate nascoste lungo la darsena e lo Scalo Regio voi consideravi le cose degli umani traendone oroscopi secondo la magica usanza della gente negra. E voi uomini di bronzo penetravi allora nell'avvenire degli uomini vivi pieni soltanto di vuote speranze. Poi come nelle fole di fantasmi, il primo baluginare dell'aurora vi rimetteva le catene.
Dove siete?
La pietra è rimasta pietra scheggiata, ma dalla pietra non si vedono più i quattro nasi neri che i terragnoli guardavano con stupefazione. La base è rimasta, la base stupenda che vi teneva: la base è troppo vuota senza voi. E il Granduca vittorioso, inutilmente paludato, senza la gloria d'avervi legati a' suoi piedi, anch'esso non c'è più: se n'è ito tacitamente e forse vi cerca banco fantasma impietrato, fuori dal tempo. E non vi lamentavi, all'incomoda positura assuefatti. Non chiedevi che d'essere lasciati, che la vostra patria , la vostra vita erano quelle ormai e altro non volevi. V'hanno esiliati invece.
Dove siete?


Forse adagiati ripostate, ugualmente rannicchiati, ugualmente rannicchiati, ugualmente incatenati, ché le membra anchilosate vi inchiodan per sempre nella posa originale. Riposate ma piangete nascostamente, sommessamente piangete con occhi asciutti. E prigionia nel Bagno e schiavitù e catene di Livorno, e l'odor di catrame e di stoppa dei calafati , e i ricciai che d'appresso aprivano il guscio, e l'erbetta che era il vostro confine, e i tramonti rossi dell'autunno sul mare, rimpiangete e sognate al buio, nel silenzio, lontano o forse vicini.
Dove siete?
Grandi cose, grandi eventi vedeste nella ricca Livorno di Serenissimi. E poi la storia della bella città marinara vedeste sgranare nel lungo rosario di quattrocent'anni, con le sue glorie e i suoi molti dolori, vedeste coi vostri occhi fissi. E ora non più.
Dove siete?"
(Gastone Razzaguta, Livorno Nostra, 1958, Editrice Tirrenica, Livorno)


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