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IL TEATRO SAN MARCO DI LIVORNO




"Percorrendo, quotidianamente, il tratto di strada che mi riporta a casa, mi soffermo davanti al quel che rimane del Teatro San Marco. E' come se Gramsci, dal 21 gennaio del 1921, fosse rimasto qui ad osservare la sua creatura.
I pochi fiori secchi, la bandiera rossa consumata dal libeccio ed una corona d'alloro sbrindellata, rendono l'idea di come il grande evento, realizzatosi all'interno di quelle mura, abbia conservato soltanto la parvenza di un'immagine sbiadita.
Subito dopo, comincio a sentire la polvere che si attacca alle scarpe e rende il passo sempre più pesante.
Davanti agli occhi della mente, come i titoli di coda di un film, scorrono le parole di Gramsci: "L'indifferenza é il peso morto della storia. È la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall'impresa eroica".
L'indifferenza si respira a pieni polmoni in questa città".
Parole con cui iniziavo un altro articolo di questo blog.
Oggi sulla stampa locale si legge del grave stato in cui versa quello che resta del teatro San Marco e il rischio del suo crollo.

Allora ho deciso di ricordarlo com'era, in tutto il suo fasto e splendore, lasciandomi aiutare dalle parole di Giuseppe Piombanti:

"Luigi Gargani da Firenze, il 13 Marzo 1803, stampò il progetto di edificare un gran teatro coll'annesso casino, per la residenza dell'Accademia, sull'antico rivellino S. Marco, ed invitò i cittadini ad assisterlo nell' impresa.
Trovato il favore che desiderava, ne affidò l' esecuzione all' architetto Salvatore Piccioli, coadiuvato da Gaspero Pampaloni, e nell' anno stesso poser mano al lavoro. Il 27 Aprile 1806 ne fecero la solenne apertura, con istraordinaria pompa, rappresentandovi i Baccanali di Roma, posti in musica da Stefano Pavesi.
L'Accademia dei Floridi, che n'era già divenuta padrona, ci aveva invitato la regina d'Etruria Maria Luisa (la quale venne a Livorno due giorni prima colla corte), e dette al teatro stesso il nome del piccolo figlio di lei Carlo Lodovico. Dopo alcuni anni l'Accademia, che aveva pagato il solo casino e non il teatro, dovette sciogliersi, e questo passò in proprietà di diversi.
Nel 1848 si formò una nuova Accademia, approvata coi suoi statuti dal governo ai 18 Luglio, la quale prese il nome e lo stemma dell'antica e comprò il teatro; l' anno 1873 quella dell' annesso casino, che esisteva fino dal 1838, si è fusa coll' altra dei Floridi ed una sola ne formano.
Il teatro ha un portico, sostenuto da colonne ioniche, che mette nel vestibolo principale, alla cui destra, per una scalinata, si va nella platea.
Prospetto della facciata principale

Dipinsero il teatro Luigi Ademollo, artista di grande immaginazione e prontezza, e Luigi Tasca valente ornatista.
Palco d'onore
Il primo colorì nel soffitto la reggia del sole, secondo le Metamorfosi d'Ovidio, con Apollo in atto d'istruire suo figlio Fetonte, che aveva ottenuto di guidare per un sol giorno il carro dell'astro maggiore, mentre le ore apprestano il carro stesso ed i cavalli, e L'aurora già spunta; nel sipario il magnifico trionfo di Cesare, dopo la celere vittoria riportata sul re Farnace ed annunziata dalle notissime parole: veni,vidi, vici; nell'esterna dei palchetti, in ventiquattro arazzi, altrettanti principali fatti dell'Iliade che ne presentano come la sostanza. Il secondo aveva eseguito, tra un arazzo e l'altro, emblemi, armi e trofei dei popoli dai Romani soggiogati, che bene armonizzavano coi dipinti dell'Ademollo.
Prospetto laterale
L'Accademia lo fece abbellire e restaurare dal Cappellini nel 1852; egli tolse la così detta piccionaia, facendovi dipingere dai fratelli Medici una balaustrata che mutilò l'opera dell'Ademollo, e, sui trofei del Tasca, ornati che punto si accordan col resto.

Il teatro ha 136 palchetti riccamente abbigliati ed in cinque ordini distribuiti; è tra i più belli ed armoniosi d'Italia, ed è lungo nella platea metri 19,02, largo metri 17,38.
Sui parapetti d'ogni ordine, eccettuati quelli del primo, si vedono sei episodi dell'Iliade, uno ogni due palchetti, tramezzati dagli ornamenti.


Ne diamo qui un breve cenno, cominciando dai più alti, a sinistra del palco scenico, e conservando sempre il medesimo ordine. 
  1. Crise sacerdote d'Apollo si presenta ad Agamennone per riscattare sua figlia Criseide da lui fatta schiava ; il re dà nelle furie e malamente lo scaccia. 
  2. Il nume di Crise, da lui invocato, con mortiferi dardi diffonde la peste fra i Greci e ne fa grande strage. 
  3. Agamennone consente alla restituzione di Criseide, ma vuol da Achille Briseide; questi irato dichiara di non più pugnar pei Greci. 
  4. Achille consegna Briseide agli araldi d' Agamennone, giurando vendetta.
  5. Priamo ed Agamennone, con giuramenti, libazioni e sacrifizi, fermano di por fine alla guerra con un duello tra Paride e Menelao.
  6. Paride, sul punto d'essere ucciso da Menelao, è reso invisibile e rapito da Venere. 
  7. Ecuba, colle donne troiane, offre nel tempio di Minerva un ricchissimo drappo , perchè allontani da Troia i disastri della guerra.
  8. Dolorosa separazione di Ettore dalla famiglia per ritornare al campo.
  9. Battaglia fra i Troiani ed i Greci con vantaggio dei primi. 
  10. Scoraggiato Agamennone vuol abbandonar Troia; lo contradicono gli altri duci e giurano di sterminarla. 
  11. Ulisse e Diomede tornano dal campo nemico con preda d'armi e cavalli.
  12. Ettore, alla testa dei suoi, sbaraglia ed insegue i nemici sino alle lor navi, che in terra tenevano per alloggiamenti.
  13. Achille, dopo molte preghiere, veste Patroclo delle sue armi, e lo manda coi Mirmidoni in soccorso dei Greci. 
  14. Ettore, vinto, ucciso e spogliato Patroclo, porta in trionfo le armi d' Achille. 
  15. Lamenti d' Achille sul corpo di Patroclo, mentre si lavano le sue ferite. 
  16. Tetide porta nuove armi a suo figlio Achille che abbagliano i suoi stessi soldati. 
  17. Achille, tornato alla pugna, assale e spegno il valoroso Ettore.
  18. La famiglia di questo ed i Troiani piangono l' estinto, trascinato da Achille intorno alle mura di Troia.
  19. Achille ed i suoi fanno plausi guerrieri intorno al rogo di Patroclo, sul quale immola schiavi e cavalli.
  20. Achille istituisce giuochi e feste in onore di Patroclo : corsa delle bighe.
  21. Lotta d' Aiace e d'Ulisse. 
  22. Corsa pedestre. 
  23. Achille concede alle lacrime di Priamo il corpo di suo figlio. 
  24. Priamo riporta a Troia la salma d'Ettore, incontrata dalla desolata madre e sposa non che dai piangenti Troiani.
La maggior sala dell' unito Casino , il quale serve alla riunione ed alla ricreazione degli accademici, è pur dipinta dall' Ademollo. In un grande arazzo, steso nella volta e da sei aste sostenuto, rappresentò la cena dei Lapiti per le nozze di Pirito ed Ippodamia; i centauri che v'intervennero ne profittarono per rubar le donne, e ne seguì un fiero combattimento.

Nelle pareti della medesima si vedono le solenni feste baccanali, eseguite nelle Indie da Alessandro il grande, ad imitazione di quelle istituite dal medesimo Bacco.
Dove la Via S. Marco entra in Piazza dei Domenicani fu la grandiosa Porta S. Marco della vecchia città, ai lati della quale, negli antichi quartieri militari, Pietro Leopoldo fondava nel 1781 due Conservatori, per educarvi ed istruirvi i figli dei soldati collettizi; uno era pei maschi e l'altro per le femmine; le iscrizioni che sulle porte si leggono, ne conservano la memoria".
Durante la seconda guerra mondiale fu utilizzato dall'esercito come deposito.
Umberto Terracini, padre costituente  del  fondatori del Partito Comunista Italiano, racconta in un'intervista a Rinascita, rilasciata nel 1965, la grave situazione in cui versava il Teatro nel 1921:


“I delegati, che rapidamente avevano occupato la platea del San Marco, non vi trovarono sedie o panche sulle quali assidersi e dovettero restare per ore e ore ritti in piedi. Sul loro capo, dagli ampi squarci del tetto infracidito, venivano giù scrosci di pioggia a riparo dei quali si aprivano gli ombrelli, con uno strano vedere nel luogo e nell'occasione. Né l'impiantito era in migliore condizioni, tutto avvallamenti e buche nelle quali si raccoglieva l'acqua, riempendo l'aria di gelida umidità. L'intero teatro dalle finestre prive di vetri, ai palchi senza parapetti, fino ai sudici tendaggi sbrindellati che pendevano attorno al boccascena, denunciava l'uso al quale esso era stato destinato durante la guerra, di deposito di materiali dell'esercito”.
Negli anni successivi, le ruspe completarono l'opera della sua devastazione. Si preferì demolirlo anziché restaurarlo, restituendo un tanto importante monumento alla città.
La stessa scelta sarà fatta anche ai giorni nostri, eliminando le poche tracce che ne restano?

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