All'interno di un libro di Francesco Pera, "Biografie livornesi", pubblicato nel 1867 da Francesco Vigo Editore, ho trovato un'interessante pagina.
Il fine del suo scritto era quello di far memoria di tutti gli uomini illustri che avevano avuto i natali a Livorno o che vi avessero, semplicemente, soggiornato.
Riporta uno scritto di Pietro Orsilago, console pisano, vissuto nel sec. XVI e figlio di Maestro Gabriello. Illustre accademico fiorentino, studiò filosofia, divenne non solo medico, ma anche letterato.
Riporta uno scritto di Pietro Orsilago, console pisano, vissuto nel sec. XVI e figlio di Maestro Gabriello. Illustre accademico fiorentino, studiò filosofia, divenne non solo medico, ma anche letterato.
Il Pera ci riferisce che: "Il Negri nella Storia degli scrittori fiorentini dice chc l'" Orsilago , laureato nell' uno e nell' altro diritto fu carissimo al Granduca Cosimo Primo, e in nome di lui presiedè a varj Comuni dello Stato. Personaggio di molto sapere si meritò il principato dell'Accademia Fiorentina, e l'onorò più volte con le sue lezioni sul Petrarca e con bellissime rime impresse poi in Venezia nel 1627. Egli d'umore lieto e vivace, fu mandato da Firenze Commissario a Livorno verso la metà del secolo decimosesto, allorchè questa terra usciva appena dalle misere condizioni di castello per assumere . il nome di piccola e nascente città; e non è meraviglia che dopo quattro anni di soggiorno il povero poeta memore della sua bella Firenze, disgustato dallo squallore, dalla solitudine, dal clima, dai rozzi e malvagi costumi degli abitanti, desse poetico sfogo al suo affanno in un Capitolo diretto al Vescovo De' Marzi perchè s'interponesse appo il Duca a favor suo".
L'intercessione scritta dall'Orsilago era stata riportata all'interno di uno scritto di Francesco Doni, intitolato Il Libro dei Marmi.
Questo il componimento:
SOPRA IL
BUON ESSERE DI LIVORNO.
Al Vescovo
De' Marzi.
Monsignor
mio, se voi sapeste bene
L'
affezion ch' io vi porto quanta sia ,
Avereste
pieta delle mie pene.
E con
trovar qualche coperta via
Mi
trarreste da l' aer di Livorno ,
Letto di
febri e nido di moria.
Potrei pur
ancor io starvi d' intorno ,
E servir
nella corte il signor Duca,
E non star
qui come un bel perdigiorno.
Deh
cavatemi fuor di questa buca,
Di cui m'
ha il tanfo in tal modo conquiso
Che ho
fatto proprio un volto di bezuca.
E quel che
me da me stesso ha diviso
È,
Monsignor, veder che in questo loco
Non c'e
viso, che viso abbia di viso.
Per questo
mi sto in casa intorno al foco»
Ora a
questo scrivendo et ora a quello
Le mie
disgrazie, e di fortuna il gioco.
Che m'ha
condotto in questo Mongibello.
Che manda
fuor più velenoso odore.
Che di
cloaca o puzzolente avello.
(ìli è il
vangel quel che io dico, Monsignore.
E chi qual
voi non lo- credessi, vegni
A starci ,
et uscirà forai d' errore.
Gli uomin
qui si fan verdi, gialli e pregni.
E chiamar!
questo mal la livornese,
Che guasta
i corpi e molto più gl' ingegni..
S'Ippocrate,
Avicenna, e '1 Pergamese,
Com'io,
fosser qui stati a medicare.
Alien
forsi imparato alle lor spese.
Mosè ci fu
; ma quando vidde il mare ,
Fuggissi,
come nel Burchiello e scritto.
Lassandoci
una legge singulare ;
Qual' e,
che, s' alcun fa qualche delitto
Per cui
debba alla morte esser dannato.
Qua vuol
si mandi per maggior conflitto.
Onde ogni
ladroncello e scelerato,
Senza altre
forche ne tagliar di testa,
Qua da
varie giustizie è confinato.
O
Fiorentini miei, non fate festa
D' essere
eletti a regger questo perno ,
Perchè
venite a morte manifesta.
Sia di
state , d' autunno , o sia di verno .
Nulla val ;
che questo aer 1' alma invola ,
Come fosse
una bolgia dell'Inferno.
Per me s'
i' esco d' esto purgatoro,
Fo voto d'
ire a Roma 1' anno santo,
E farmi dir
le messe di Gregoro.
Del che gli
uomini e Dio pregato ho tanto.
Ch'ho
speranza d' uscirne in tempo corto,
Ed altrove
gioir, quanto ho qui pianto.
Al Duca ho
scritto che quattro anni ho scorto
La vecchia
e nuova torre e '1 gran fanale.
La
fortezza, la terra, e '1 molo, e '1 porto,
E che non
lassi capitar qui male
Un che '1
serve di cor, l' ama e l' adora :
Però, se
Dio vi faccia cardinale,
Pregatel che di qui mi cavi
fuora.
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