Il Palio Marinaro (Marco Filippelli) |
Interessante e poetico questo articolo della Canaviglia, scritto da Piero Caprile. Suggestive le foto di Marco Filippelli, che mi ha autorizzata a condividerle con i lettori del Blog.
Foto delle gare remiere di Marco Filippelli
Buona lettura!
"E' una parentesi del grande universo, il mare di Livorno, un vasto teatro a scena aperta, i cui personaggio muovono alla ribalta per le consuete avventure.
E' la favola del nostro mare, così diverso nel linguaggio dei mari poco distanti da Livorno. Ma è domestica la sua orchestrazione. Quale età ha il nostro mare? La sua irruenza comandata dal quadrante dei venti, la tranquilla bonaccia estiva, la sublime e pacata espressività della notte lunare, il crepuscolo con le sue ombre di passione, il mattino della rosata gaiezza, lo determinano di perenne gioventù e nascita biblica, se vuoi mitica.
Il Palio Marinaro (Marco Filippelli) |
Il Palio Marinaro (Marco Filippelli) |
Su questo nostro mare, largamente intrecciato ma spoglio di retorica, scatenato e bonario, solcarono navi puniche, fenice, greche, etrusche, romane, con la selva delle alberature, attese dal coraggio dei nostri marinai che poi volgevano riconoscenza di umili ex voto alla loro protettrice: La Vergine di Montenero che ha attorno, nelle sale a Lei dedicate, un vocabolario di sole, di salsedine, di cronaca nera del mare.
Il mare di Livorno (Antonia Teoli) |
Mentre nei fondali del mare toscano, davanti a Livorno, è serrato il mistero dei brigantini, golette, tartane, vascelli, galeazze venete, fuste barbaresche, moncherini di galeoni, di battelli a ruota: spettrale seplocreto, rarissimo museo affogato nella foresta di alghe, tra anfore e colubrine, nei bassi fondali della Meloria.
Il Palio Marinaro (Marco Filippelli) |
Mare profondo - il nostro -, trasparente, indaco, smeraldino, plumbeo e spesso, scintillante e leggero, aggredito dal rosso sole dell'occaso, sempre sciolto al variar della luce; e credo, queste siano le fondamentali ragioni della presenza, in terra labronica, dell'Ateneo del Mare - l'Accademia Navale -, appunto per i suoi pregi: aperto ai naviganti, spalancato alle procelle, selvaggio e maestoso, pacifico e largo: caratteristiche da Oceano; oltre a innamorare uomini come questi: Petrarca, Foscolo, Carducci, Pascoli, d'Annunzio, Marradi, Goldoni, Byron, Shelley, e gli umanisti del colore e mascagnie, nel quadro vernacolo, "Cangillo".
Il Castel Boccale (foto di Antonia Teoli) |
Il tema di fantasia, siamo ormai sul tracciato mitologico, domandiamo i segreti di Livorno marinara ai Quattro Mori, custodi della darsena antica, partecipi anch'essi delle vicissitudini dei pescatori e risicatori. Od anche rivolgiamo il pensiero alla Fortezza Vecchia, superba ed unica costruzione sul mare, ove in quel medesimo luogo, si dice sorgesse un fortilizio romano, poi la contessa Matilde nel 1076 fece costruire il Mastio e i pisani nel 1392 vi aggiunsero un giro di mura, e i fiorentini ne completarono la costruzione , su ordine di Giulio de' Medici, per opera dell'architetto Antonio da San Gallo; domandiamo se la favola di Ercole Labrone è verace. Creatura forte, questo nostro fondatore, gigante del mare, e il culto e la tradizione gli dedicarono, nel centro della Fortezza, un singolarissimo tempietto.
La Fortezza Vecchia (Giovanni Gallo) |
E' una delle più illustri pagine di mitologia locale che trova tuttavia nobile equilibrio nel legendario capitolo degli "arrisicatori", gli antenati del "Palio Marinaro", regata che la storia nasconde nelle sue più fantasiose pieghe. Gli arrisicatori, gente che gioca sulla rosa dei venti, invocando l'uragano, la tempesta, il furor delle acque. Uomini generosissimi che si scatenavano allo scroscio dell'ondata per salvare i naufraghi; esseri leggendari come i marinai d'Ulisse, bramosi di gareggiare col libeccio, creature discendenti da quell'Ercole Labro, colosso di forza e ingegno.
Il folclore del popolo aveva creato anche un poema - anonimi manoscritto introvabile - sull'arrisicatore. Un canto umanissimo, singolare di larga cadenza. Esso dice in uno squarcio:
Nacque l'arrisicatore
sovra l'acque verdazzurre:
il suo latte, fu la schiuma
dell'ondandi mareggiate.
Non conobbe caldo nido;
beverati nell'amore
vaste bave dei libecci,
dei selvaggi venti al grido
la sua casa fu nel mare.
Suoi nemici, il tempo bono
quando mettesi alla via,
la bonaccia del riposo.
San Libeccio è il suo patrono.
Vita, morte dentro il mare.
Dei risicatori si parla con certa insistenza storica verso il 600, al tempo dei predoni sull'Arcipelago Etrusco; poi vennero le "carovane", gruppi costituiti dai "mestieranti del rischio", incluse nei rioni marinari: San Giovani, Venezia, si aggiunsero Borgo Cappuccini, San Jacopo, Ardenza, Antignano.
Questa lotta col mare, in termine di folclore, di tenacia, di poesia e generosità, vive tutt'oggi col "Palio Marinaro", regata di gozzi a dieci remi che riaccende il fascino antico, tra il popolo fitto sulla scogliera.
Uomini, quelli di allora dalla forza e temerarietà: scaricavano rena, pelli conciate, carbone, grano, botti di vino - qui il significato di "carovana" -; come oggi i remiganti del "Palio" vivono sul porto, anch'essi fratelli del vento. Per cui il "Palio" determina la unione tra il vecchio e nuovo, principio e continuità, nel clima agonistico e cavalleresco di un popolo.
E diremo anche che il "Palio Marinaro" è competizione senza equivalenti tra i popoli che vivono sul mare, per caratteristica di barche, sistema di voga, programma di regata.
Antichissima data di nascita. Negli Statuti Pisani, nientemeno nel 1294, vi sono dei capitoli che riguardano esclusivamente questa competizione remiera. Altri documenti della metà del 500 parlano di certe "fuste a remi" che gareggiavano nel mare livornese con grande diletto del vecchio Cosimo de' Medici che si godeva lo spettacolo dal terrazzino della Fortezza Vecchia: la Canaviglia. Fu sempre una festa questa del "Palio", che invitò a Livorno gran folla per tutto il 700 e l'800 non si fece che parlare di "barche a dieci" - come strana ed eccentrica forza -, di "corsa delle oche", di "palio delle barchette", di fregate olandesi", imbarcazioni a otto, voghe alterne e timoniere, strambe antenate - se vogliamo - dei moderni "gozzi" a dieci.
Un cronista dell'epoca da in sintesi pochi appunti sulla cerimonia:"La festività del di' 8 settembre si distingue per la moltitudine che si reca a visitare il vicino Santuario di Montenero, anche dai paesi attorno, la quale sorpassa ordinariamente le 10 o 12 mila persone; mentre sulla sera si restituisce tutta in città, per vedere il palio cosiddetto delle oche il quale si corre da varie barchette nei Fossi della Venezia Nuova.
Queste barchette sono servite da robusti rematori, che hanno tutti una coccarda di diverso colore al berretto. Uno di essi sale poi in cima dell'Antenna, che sorretta da quattro canapi si innalza nel fosso di faccia al Palazzo Bartolomei. Colui che per primo degli altri, salendo su uno dei detti canapi colla forza delle sue braccia perviene ad impadronirsi della banderuola che sta legata in alto dell'antenna predetta, ha vinto il palio. Chiamarsi tuttora il "palio delle oche", perché, or son pochi anni (si ritiene verso la metà del '700) era preceduto da un inveterato ma quasi barbaro divertimento; mentre collocandosi varie oche penzoloni legate per le gambe ad una fune al di sopra delle acque del fosso, alcuni ragazzi spiccando un salto dalla spalletta e cadendo nel fosso stesso, tentavano con una sciabola di legno di troncare la testa ad alcune di esse. Quelle che venivano semplicemente colpite nella testa rimanevano spettacolo al popolo per le contorsioni dolorose che esprimevano; poiché l'oca non diveniva premio che di colui il quale che con un colpo di detta sciabola riuscisse a recidere il capo interamente. Questa usanza popolare relativamente alle oche è stata non a guari soppressa".
Il più memorabile Palio che compaia nella storia livornese e che ebbe sfarzo inaudito fu quello disputato il 21 maggio 1766 giorno di mercoledì, in occasione della venuta di Pietro Leopoldo. Palio messo in lizza dalla Nazione Olandese (in quel periodo Livorno aveva una forte colonia olandese) la quale intendeva così partecipare ai festeggiamenti con le altre nazioni: l'inglese che aveva organizzato un grandioso "calcio" in piazza Grande, la francese si era impegnata per un "Palio di cocchi", l'ebrea con una corsa di cavalli.
Comunque il "Palio" nei suoi termini di modernità, deriva dalla famosa "scalata d'antenna", vinta il 30 gennaio del 1605 dalla "Capitana" di Sua Altezza, plaudente Ferdinando I de' Medici, davanti alla Fortezza Nuova e che portatasi di poi nelle acque interne dell'appena costruito quartiere di Venezia Nuova, celebrò ogni dì otto settembre la Natività della Vergine e servì quale spettacolo di gala. E vorremmo che questo "Palio" espressione di popolo, avesse compiuta letteratura. Già si inserisce, con largo consenso, nelle arti figurative; seguirà la musica, espressione assai vicina al cuore popolare, con concorsi ufficiali per un "Inno al Palio".
In passato si ebbe qualche tentativo di buona marca, ricercandone le usanze di gioco, il richiamo del gesto, la flessuosità del linguaggio, la struttura etnica e la legge naturale che è virtù dell'anima.
Dobbiamo dunque noi, eredi di tradizioni, difendere il "Palio Marinaro" ove il valore agonistico degli atleti si scioglie su tavolozza nostrana, complesso inestricabile di sentimenti.
la tradizione è sempre sacra, come il paesaggio.
Pomeriggio infuocato d'agosto: c'era proprio Cangillo, il delicatissimo Dino targioni Tozzetti fedele interprete dell'arguzia vernacola, che se ne stava ammirando la corsa di un Palio: popolo in delirio, slancio di remiganti, l'abbraccio della folla, le urla di giubilo, il clamore dei rivenditori, le sirene delle navi in porto, le scroscianti risate, le ciarle, le voci, i canti, gli schiamazzi, gli applausi, e nonostante questo mondo pieno di suoni, il poeta aveva appuntato brevi note balneari di patetico sapore. Versi sconosciuti, perciò maggiormente graditi, piacevoli per freschezza e umorismo.
Primo pensiero poetico:
Un cronista dell'epoca da in sintesi pochi appunti sulla cerimonia:"La festività del di' 8 settembre si distingue per la moltitudine che si reca a visitare il vicino Santuario di Montenero, anche dai paesi attorno, la quale sorpassa ordinariamente le 10 o 12 mila persone; mentre sulla sera si restituisce tutta in città, per vedere il palio cosiddetto delle oche il quale si corre da varie barchette nei Fossi della Venezia Nuova.
Queste barchette sono servite da robusti rematori, che hanno tutti una coccarda di diverso colore al berretto. Uno di essi sale poi in cima dell'Antenna, che sorretta da quattro canapi si innalza nel fosso di faccia al Palazzo Bartolomei. Colui che per primo degli altri, salendo su uno dei detti canapi colla forza delle sue braccia perviene ad impadronirsi della banderuola che sta legata in alto dell'antenna predetta, ha vinto il palio. Chiamarsi tuttora il "palio delle oche", perché, or son pochi anni (si ritiene verso la metà del '700) era preceduto da un inveterato ma quasi barbaro divertimento; mentre collocandosi varie oche penzoloni legate per le gambe ad una fune al di sopra delle acque del fosso, alcuni ragazzi spiccando un salto dalla spalletta e cadendo nel fosso stesso, tentavano con una sciabola di legno di troncare la testa ad alcune di esse. Quelle che venivano semplicemente colpite nella testa rimanevano spettacolo al popolo per le contorsioni dolorose che esprimevano; poiché l'oca non diveniva premio che di colui il quale che con un colpo di detta sciabola riuscisse a recidere il capo interamente. Questa usanza popolare relativamente alle oche è stata non a guari soppressa".
Il più memorabile Palio che compaia nella storia livornese e che ebbe sfarzo inaudito fu quello disputato il 21 maggio 1766 giorno di mercoledì, in occasione della venuta di Pietro Leopoldo. Palio messo in lizza dalla Nazione Olandese (in quel periodo Livorno aveva una forte colonia olandese) la quale intendeva così partecipare ai festeggiamenti con le altre nazioni: l'inglese che aveva organizzato un grandioso "calcio" in piazza Grande, la francese si era impegnata per un "Palio di cocchi", l'ebrea con una corsa di cavalli.
Il Palio dell'Antenna |
Comunque il "Palio" nei suoi termini di modernità, deriva dalla famosa "scalata d'antenna", vinta il 30 gennaio del 1605 dalla "Capitana" di Sua Altezza, plaudente Ferdinando I de' Medici, davanti alla Fortezza Nuova e che portatasi di poi nelle acque interne dell'appena costruito quartiere di Venezia Nuova, celebrò ogni dì otto settembre la Natività della Vergine e servì quale spettacolo di gala. E vorremmo che questo "Palio" espressione di popolo, avesse compiuta letteratura. Già si inserisce, con largo consenso, nelle arti figurative; seguirà la musica, espressione assai vicina al cuore popolare, con concorsi ufficiali per un "Inno al Palio".
Cartolina d'Epoca del 1958 |
In passato si ebbe qualche tentativo di buona marca, ricercandone le usanze di gioco, il richiamo del gesto, la flessuosità del linguaggio, la struttura etnica e la legge naturale che è virtù dell'anima.
Dobbiamo dunque noi, eredi di tradizioni, difendere il "Palio Marinaro" ove il valore agonistico degli atleti si scioglie su tavolozza nostrana, complesso inestricabile di sentimenti.
Palio Marinaro - Il giro di boa (Marco Filippelli) |
la tradizione è sempre sacra, come il paesaggio.
Pomeriggio infuocato d'agosto: c'era proprio Cangillo, il delicatissimo Dino targioni Tozzetti fedele interprete dell'arguzia vernacola, che se ne stava ammirando la corsa di un Palio: popolo in delirio, slancio di remiganti, l'abbraccio della folla, le urla di giubilo, il clamore dei rivenditori, le sirene delle navi in porto, le scroscianti risate, le ciarle, le voci, i canti, gli schiamazzi, gli applausi, e nonostante questo mondo pieno di suoni, il poeta aveva appuntato brevi note balneari di patetico sapore. Versi sconosciuti, perciò maggiormente graditi, piacevoli per freschezza e umorismo.
Primo pensiero poetico:
T'ho dato un bacio e te non me l'hai reso
Anzi mi ahi detto che ero impeltinente;
Scusa, brunetta bella, se t'ho offeso,
Non badai se passava della gente:
Insomma, io te l'ho dato, e te l'hai preso,
E fra noi due c'è già conto 'orrente...
E' aperta, fra noartri, la partita,
Abbada te all'entrata, e io all'uscita.
Per la giornata del palio che dava allegria, la musa vagabonda si accordava sempre con il sentimento e il languore.
Le ragazze ciondolavano sulla Passeggiata fermandosi a schiere al fresco delle piante e mentre i vogatori, a tutta forza, difendevano la bandiera rionale, i popolani tifavano assiepati al molo e lungo i fossi, altri a bordo di centinaia di barchette, dal porto alla Vegliaia, per seguire la corsa.
Da quel gruppetto di fanciulle nasceva timidamente un canto che il maestralino doveva consegnare all'intelligente anonimo:
Gira e trulla!
L'amore è una follia
Ti darei la vita mia
Per poterti contentar.
Quest'aria infuocata del Palio, che si addice ad un rito di popolo, rimaneva immobile per l'intera giornata, mentre nei rioni si accendevano le luminarie, si creavano le più allegra baldorie al pizzico della chitarra , per istrumentare stornelli e frizzanti pennellate di lingua, tra una forchetta e l'altra di cacciucco, e bicchieri di valoroso elbano per estinguere il fuco dell'amore e della vivanda marina.
le barche dondolavano con romantiche comitive ed era questa la più autentica e attesa "coda" al "Palio": una gara di sentimento, di sogno sulle tranquille acque, solo qualche tremulo grido di gioia, ormai sciolte le frenetiche espressioni dei vogatori.
Il Palio Marinaro (Marco Filippelli) |
Pensieri di scherno, di disprezzo, imprecazioni, minacce, ma pur presente l'ironia:
Fior di Ginestra
Se voi marito fattelo di pasta
Parole in tutta sordina di un cuor tenero con pacati sottintesi:
Faccio la corallaia e me ne vanto.
Come lavoro bene a lume spento,
e specialmente con lo sposo accanto.
Era il ritorno delle paranze guidate dalla luna e quel tonfo di remi nell'acqua nerissima, confortava il poeta dalla vena sempre libera:
E quando ci incontriamo per la via
Tutti e due si 'ambia di 'olore.
Questo divien dal ben che ci vogliamo.
Di tanto sdegno c'è nato amore.
E gira bimbo, gira,
E gira di Via Crimea.
Unguento e peperoni,
Catrame e pece grea.
Non mancava la voce appassionata e baritonale dello sfiduciato in amore:
Ma bimba sarà impossibile ch'io ti sposi
Dal ciel dovrà cader la neve nera,
I monti dovran tutti camminare,
Il sole dovrà sorgere alla sera.
La giornata, già notte alta, si concludeva sul porto, fioco di luci:
Fior di betulla
che cosa c'è più bello di Livorno?
Più bello di Livorno non c'è nulla.
E gira e fai la rota
e gira sul Pontino;
fatti passar la fame
e bevici un poncino.
Oppure:
Din dirindindin, suona il postino
il core me lo fece un ruzzolone,
credeo fosse la posta del Morino
e 'nvece era l'aumento di pigione.
Questo nostro "Palio Marinaro", ardimentoso e romantico, che allinea i suoi forti figli per un "girone del remo" tra i gruppi di una città che vive sul mare, vuole che la sua storia rimanga come unico argomento di "voga livornese di popolo".
Il Palio Marinaro (Marco Filippelli) |
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