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I musei di Storia Naturale di Livorno

Livorno si è sempre contraddistinta, in particolare dal 1700 al 1900, per il  suo fervore culturale ed artistico. Culla di famosi pittori, scrittori, giuristi, filosofi, musicisti e studiosi di scienze naturali.
In città erano presenti collezioni naturalistiche da fare invidia al mondo intero. 
Purtroppo per l'incuria e la superficialità di alcuni, molti sono stati privati della loro presenza.
Utilizzando come fonte alcuni scritti dell'epoca, voglio parlarvene, consapevole dell'amarezza che la cosa susciterà in voi.
Spero che questo articolo sia di monito per il futuro, visto che ad oggi, molte opere e reperti storici giacciono, nell'oblio di chi ha amministrato e amministra Livorno, ammassati in soffitte e magazzini.
Dedico questo mio contributo al compianto prof. Lodovico Galleni, uomo di scienza e studioso instancabile, con la speranza che nessuna delle sue parola vada perduta.


"I Signori Cramer e Philibert hanno stampato il catalogo delle produzioni naturali, che compongono il Museo del già Tiberio Scali, ed ora del Sig. Pietro Paolo suo figlio, di Livorno. Questo Museo, che ha meritato, emerita, la stima degli Studiosi della Storia Naturale, fu messo insieme, come ho detto, da Tiberio Scali Livornese, il quale mentre è vissuto ha dato al mondo ripruove non ordinarie della sua cognizione della Botanica, e di altre produzioni naturali, delle quali come diligentissimo investigatore ha lasciato questo Museo in una serie numerosissima, e di specie in verità le più singolari, che la Natura vada formando. Universale è stata l'estimazione di lui avuta dagli Oltramontani .
Lasciamo a questo punto la prosa strascicata e densa di virgole dell'anonimo cronista delle Novelle letterarie di Firenze, addì 30 dicembre 1746, per ricordare come Tiberio Scali (1655-1737), che a Diacinto Cestoni successe in Livorno nella carica dl protospeziale e del Cestoni continuo la bella tradizione scientifica, sia stato il primo ad adunare nella città nostra un "celeberrimo" museo di storia naturale. A questo titolo dove lo Scali ha la sua maggior rinomanza; ma il "diligentissimo farmacopola" si rese altrimenti benemerito "de Botanica aliisque rebus naturalibus", sia illustrando le piante di Livorno in un Index, che è senza dubbio il primo elenco floristico della terra nostra, sia tenendo "carteggi coi soggetti i più eruditi ed illustri del tempo" intorno al così detto Fungo di Malta o vuoi Cynomorion, da lui scoperto nel 1719 presso il Lazzeretto di S. Jacopo, oppur intorno alle piante che crescono sul nostro litorale, alla fioritura dell'Agave in Livorno e ad altri vari soggetti.

Fu modestissimo: come già il Cestoni verso il Redi ed il Vallisnieri, lo Scali in fatto di scienza si rese "buon servidore e umilissimo" di Michelangiolo Tilli, di Pietro Antonio Micheli, di Giovanni Ray e di Giacomo Petiver, ai quali comunicò liberalmente le sue osservazioni ed il materiale raccolto. Per questo il Tilli lo ricordò con alquanti superlativi nel suo Orto Pisano, il Micheli fece altrettanto nei Nova plantarum genera e più onore gli rese il Petiver promovendone l'aggregazione alla Reale Società di Londra.
Quanto al museo dello Scali oggi non potrebbe meritare a rigore la qualifica di celeberrimo, se dobbiamo prestar fede al catalogo che lo illustra e che arriva a numerare, sia singolarmente, sia per gruppi, un complesso di cinquemilasettecento oggetti, fra i quali non appaiono, almeno per ciò che può dedursi dalle frasi diagnostiche, sovente vaghe ed incerte, rarità o pezzi d' eccezione. Ma celeberrimo fu certo per i tempi nei quali fu istituito e per essere esso opera e proprietà di un privato. Ricchissimo di conchiglie di molluschi, che ascendevano quasi a tremila, il museo dello Scali accolse - commisti ad esse nella comune denominazione di testacei - echini, lepadi e balani; polipai di coralli, di antipati e di madrepore; denti di lamia e rostri di pesce sega; pesci ed uccelli; difese di elefanti e di narvali; minerali, rocce, fossili e strumenti litici; ed infine frutti e semi dell'India.


Un po' di tutto insomma ed in verità senza un ordinamento prestabilito; ma erano forse diversi sotto questo riguardo i musei maggiori, come quelli del Vallisnieri a Padova, dello Zanichelli a Venezia o quello celebratissimo del padre Kircher a Roma? Basti ricordare che nella Nicchieria del Serenissimo Granduca Ferdinando II framezzo ad una serie doviziosa di testacei marini, apparivano quattro Ippocampi, o Cavalletti marini, una Cicala dell'India, due Scarabei chiamati Kacherlach (sic), Maschio e Femmina, dieci Gladioli di Loligini, sei fra Ucceili di Paradiso, Colimbri (sic), e d'altresorti, dei Funghi marini, delle Retepore, dei Coralli rossi e bianchi e della Pietra congelata della Grotta d'Antiparisi.
Tiberio Scali, nel fervore che l'animava, si preoccuò certo più di raccogliere che di sistemare. Volgevano allora nella Toscana medicea tempi propizi a studiosi ed a raccoglitori di cose naturali. Cosimo III acquistava le superbe collezioni di Giorgio Everardo Rumpf e ne arricchiva il Museo della Specola istituito da Ferdinando II coi doni dell'Elettore di Sassonia e con le raccolte di Niccolò Stenone.
Seguendo l'esempio del padre, promoveva viaggi ed esplorazioni di naturalisti e di medici in lontani paesi: così Alessandro Pini visitava per commissione granducale la Morea e Ia Terrasanta e Michelangiolo Tilli raccoglieva semplici nelle Baleari e a Tunis. Dai paesi d'oltremare missionari e viaggiatori recavano in Toscana prodotti e curiosità naturali, specialmente quelli che avevan fama di antidoti e di alessifarmaci; testacei di Guinea e d'Angola, dell'isola Maurizia o di Banda, della Martinica e dell'America centrale; camaleonti e scorpioni di Tunis; unghie dei giganteschi ragni di Pernambuco, usate contro il mal di denti; ossa del pesce donna del Brasile, van tate come emostatiche ed antiafrodisiache; pietre della testa dei serpenti cobra dell' India, lodate contro il morso di animali veleniferi; ed infine, a tacer d'altro, quei piccoli nidi delle rondini della Coccincina, "di materia non dissimile molto dalla colla di pesce", cui si attribuivano ben singolari virtù. Giungevano talora nel nostro porto, con le spezie delle Molucche e con gli aromi di Mascate, piante nobili e rare destinate all'Orto Pisano o ai viridari granducali di Castello, come quel Mugherino stradoppio di Goa, che doveva fregiarsi del nome serenissimo di Cosimo ed ispirare al "mistico profumato" Magalotti - fra gli Arcadi Lindoro Elateo un' odicina di leziosa eleganza.
In tali circostanze, e per le conoscenze che lo Scali poté stringere con naturalisti e viaggiatori al loro imbarco o sbarco a Livorno, non gli fu difficile adunare con lungo e tenace lavoro animali e piante di paesi lontani.
D'altra parte lo Scali non trascurò ed questa un altro suo merito di fare personali ricerche nel nostro mare e nella nostra terra; veramente importante doveva essere la collezione dei fossili livornesi, fra i quali esistevano, a quanto scrive il Targioni Tozzetti, "un grandissimo Corno di Cervo, un gran Dente, o Corno d'Elefante ... e molti ripieni di testacei turbinati, in durezza e trasparenza simili all' agata ", trovati nella banchina di S. Jacopo in Acquaviva.
Oggi il museo dello Scali appartiene al mondo dei ricordi. Si dice che alcuni resti – disijecta membra – esistono ancora a Livorno, ben difesi dagli sguardi profani per la misteriosa gelosia di chi li detiene, ma certo è, purtroppo, che la parte migliore del museo migrò nella prima meta del secolo scorso verso lidi estrani ed arricchisce oggi una famosa collezione inglese. Sic transit!..."
Altra testimonianza sulla inglorioso fine del museo dello Scali, la troviamo nelle Biografie livornesi di Francesco Pera (p.136):
"Lo Scali appartenne alla Società delle Scienze di Londra, a cui si debbono molte scoperte di nuove piante, e preziose cognizioni di botanica e fisica. Fu di quei pazienti osservatori della natura, che paghi del resultamento degli indefessi loro studj, senza boria dottrinale si riposano in questi, e si tengono ben soddisfatti di partecipare l'esito delle indagini ai cultori della medesima scienza. Se lo Scali fosse stato meno raccolto e modesto, sarebbesi forse procurato fama più estesa: e perciò appunto in mezzo alla schiera pettoruta degli scienziati superbi, mi pare ch'egli meriti estimazione maggiore. Per queste buone doti visse amato da tutti fino all'anno ottantesimo secondo: e quando nel 1737 fu colpito dalla morte, il figliuol suo Pietro Paolo non seppe onorarne meglio la memoria, che accrescendo il paterno Museo, l'eredità più caramente diletta al suo genitore, e pubblicandone l'indice in un libretto rammentato anche dall'Abate Carli fra certi suoi appunti manoscritti, esistenti nella Biblioteca Senese. Fu sepolto nella cappella dedicata alla Vergine nella nostra Cattedrale, e vi si legge il suo epitaffio latino. Tuttora conservasi presso i discendenti non so qual polvere da lui stesso preparata, alla quale usano di sovente ricorrere le madri livornesi, per guarire i loro bambini di quel male che si appella metrito. Nel venerdì specialmente le richieste del benefico e gratuito farmaco sono più frequenti ; poiché al volgo ignorante piace aggiungere qualche cosa di superstizioso anche all'efficacia dei più ovvj rimedj suggeriti dalla natura e dall'arte.
Che è avvenuto del Museo Scali? Alcuni avanzi rimangono ancora presso i successori: la miglior parte probabilmente serve ad arricchire qualche famosa collezione straniera: e così Livorno, priva di questi necessarj sussidj alla completa istruzione della sua gioventù, ancora questa volta si lasciò sfuggire un prezioso deposito, che sarebbe stato di decoro a sé stessa, e di fregio alla memoria di un suo onorando figliuolo. Non sarebbe poi mancata occasione di accrescerlo, come appunto si presentò nel 1771, quando morto in Livorno il ricco ed erudito negoziante Amburghese Pietro Vanspreltelsen, lasciò un altro copioso ed elegante Museo di Storia naturale, che unito a quello di Tiberio Scali, avrebbe potuto formare una collezione ricchissima: e invece fu acquistato dal Granduca per rendere ancora più completo il suo gabinetto.
Di un altro "copioso ed elegante" museo naturalistico del '700 ci da notizia il Pera nei Ricordi e biografie livornesi. Appartenne esso a Pietro Van Sprekelsen, ricco ed erudito mercante amburghese; alla morte di lui, avvenuta nel 1771, il museo stesso fu acquistato dal Granduca per rendere, dice il Pera, ancor più completo il suo gabinetto e, aggiungo io, non fu male, che la roba rimase in Italia e non andò dispersa, come doveva accadere per il museo Scali e, più tardi, per il museo Castelli. Federigo Castelli per quasi mezzo secolo profuse la sua attività personale ed il suo vistoso patrimonio nell'adunare ampie ordinate raccolte di cose naturali, che corredò anche di una ricca biblioteca.
Il suo museo ebbe sede prima in via Cairoli, più tardi nella Villa S. Michele, dove sorge oggi il Brefotrofio provinciale. Fu ricco specialmente di conchiglie e di fossili, fra i quali si annoveravano avanzi di mammiferi della breccia ossifera di Monte Tignoso, rialzo calcareo presso l'Ardenza, oggi spianato, poiché dette il materiale per la costruzione della diga curvilinea. Ma comprese anche minerali e rocce e belle raccolte di corallari del Mediterraneo, di rettili esotici e di uccelli, con parecchie specie rare o rarissime catturate a Livorno, come la grandule mediterranea (Pterocles alchata), che ora arricchisce il museo di Firenze. Fondatore della Società toscana di scienze naturali, della quale fu anche per un certo periodo vice-presidente, Federigo Castelli non ebbe lo spirito gretto del collezionista, ma favorì generosamente studi e studiosi. Forsyth Major, Meneghini ed altri chiari naturalisti illustrarono i fossili del suo museo, che servì spesso a geniali ritrovi e ad onorate conversazioni.
La morte del Castelli, che avvenne nel 1897, segnò anche la fine del museo da lui adunato: la biblioteca fu venduta alla libreria Giusti e le collezioni andarono disperse, fin sull'aie dei contadini dei dintorni. Multa renascentur..."
Tristissima notizia, che si fa ancora più greve se si apprende cosa fosse presente nel Museo Castelli. Lo leggiamo nella Guida Storico Artistica del Piombanti, pag. 465:
"Passato appena il ponte sull'Ardenza, era a sinistra un monticello, spianato per costruire col suo materiale il porto nuovo, il quale si chiamava Monte Tignoso. A. Biliotti, G. B. Caterini, ed altri, facendo in esso e nella vicina così detta grotta delle Fate, le loro ricerche, ci trovarono ossa fossili d'uomini e d'animali, armi silicee, etrusche terre cotte, medaglie, utensili di pietra, ed altre antichissime cose, mandate a diversi musei d' Italia e di Francia, ed acquistate ancora dal marchese Carlo Strozzi, e dal cav. dottor Federigo Castelli a Livorno. Il sig. Castelli avendo cominciato le sue ricerche fino dal 1834, possiede presentemente , nella sua casa di Via del Casone n. 9, un particolar Museo di Storia Naturale il quale, per essere il più numeroso ed il meglio ordinato, merita ne sia data una special notizia.
Via del Casone (oggi Via Cairoli)
Le collezioni più notevoli di questo bel Museo sono le,seguenti:
Dei Fossili, che comprende: Ossa diverse di mammiferi, della breccia del sunnominato Monte Tignoso, cioè d'orso, d'iena, di tigre, d'elefante, di rinoceronte, d'ippopotamo, di cavallo, di cervo, d'antilope, ecc. (alcune delle quali illustrate dal paleontologo F. Major), non che del Valdarno, della caverna di Cassana, di Cadibona presso Savona, e dei contorni di Siena, con denti d' hipparion, cavallo dell' epoca miocenica; 
Conchiglie di tutti i terreni, compreso il livornese, delle quali fa onorevole menzione il prof. Meneghini nella sua memoria Nuovi Fossili ; Pesci del celebre Monte Bilica e del Libano ; Ammoniti italiani e stranieri ; Echinidi, Polipai, Foraminifere, con un esemplare dell' eozoon canadense, il fossile più antico che si conosca;
Piante, fra le quali le rarissime di Casale in Val di Cecina;
Legni d' Italia e di fuori.
Delle Conchiglie viventi, marine, d'acqua dolce e terrestri, ove quasi tutti i generi e le specie sono rappresentati. 
Delle Rocce, con più d'800 esemplari del livornese, del pisano, d'Elba, dei monti della Spezia e di Levanto, del Vesuvio, dell' Etna, ecc. con un saggio di pietra flessibile del Brasile.
Dei Minerali; collezione da studio, con le specie principali ben cristallizzale.
Dei marini, breccie, lumachelle, alabastri, graniti e porfidi, antichi e moderni, con 300 esemplari lustrati.
Dei Rettili, ov'è un serpente a sonagli della Colombia, un velenosissimo Surucucu del Brasile, una vipera della Martinicca, e poi: boa, alligatori ed altri pari-echi, anche rari, conservati nell'alcool; sono anche da osservare alcuni bolli individui dei Sauri e dei Batrachi.
Degli Uccelli, con diverse rare specie, prese nei contorni di Livorno.
Dei Gorallari del Mediterraneo e d'altri mari.
II sullodato Museo, corredato di relative opere scientifiche, è stato osservato ed encomialo da alcuni illustri naturalisti italiani e stranieri".
L'articolo di Alberto Razzauti continua:
"Plachiamo gli inutili rimpianti per ciò che fu, dicendo brevemente di quello che esiste, Poiché forse non a tutti è noto come Livorno oggi possegga, convenientemente disposto ed ordinato nel bel palazzo del Regio Istituto Tecnico, un piccolo ma importante museo di storia naturale che sarà fra breve aperto al pubblico e che potrà assurger col tempo, se non mancheranno autorevoli aiuti e consensi, alla dignità di museo provinciale.
Le sue origini risalgono al 1871: Giovanni Arcangeli, nobile figura di scienziato e di maestro, che dalla nostra scuola ascese ben presto alla cattedra di botanica dell'Università pisana, riuniva in quell'anno le prime collezioni per l'insegnamento delle scienze naturali e della merceologia. Nell'anno successivo si costituiva il nucleo fondamentale del museo, grazie alla munificenza di quattro benemeriti livornesi: conte Pietro Bastogi, conte Federigo de Larderel, cav. Tommaso Lloyd e cav. Rodolfo Schwartze, che acquistarono e donarono all'Istituto Tecnico il materiale raccolto da Giov. Battista Caterino Caterini e cioè una numerosa serie di minerali e rocce, parecchie centinaia di conchiglie viventi e moltissimi fossili, specialmente importanti, perché quasi tutti provenienti dal territorio livornese.
Ma il vero fondatore del museo fu Pio Mantovani, che dal 1881 al 1909, con quell'entusiasmo sincero e disinteressato, che è caratteristico dei naturalisti di razza, dette opera indefessa ad accrescere le collezioni esistenti, ad istituirne delle nuove ed in pari tempo a illustrarle. Molto egli raccolse personalmente, molto con la collaborazione del valente preparatore, cav. GiuseppeSchiavazzi;moltissimo ebbe poi in dono.
E fra i doni che in questo periodo arricchirono il museo meritano particolare ricordo per il loro valore materiale e scientifico, quelli del Cav. Giovanni Jago e della Signora Adele Micali vedova Appelius. La collezione Jago comprendeva circa seicento esemplari di minerali e di rocce, cinquecento specie di fossili di età diverse, circa trecento polipai, mirabili per mole e per conservazione, ed infine, senza ricordare le cose minori, più di quattromila specie di conchiglie, in gran parte di gasteropodi branchiati, in esemplari sceltissimi. Cinquemila specie di conchiglie, spettanti in prevalenza a gasteropodi polmonati, e quasi tremila specie di fossili, costituivano la raccolta donata dalla vedova di Federigo Luigi Appelius, che non fu soltanto un diligente raccoglitore, ma anche un distinto malacologo, come attestano alcune memorie scientifiche da lui pubblicate, come quelle riguardanti le conchiglie del mar Tirreno e i molluschi Iossili del Livernese. La collezione malacologica dell'Appelius presenta perciò una vera importanza scientifica, perché adunata non con criteri da
distrutta la raccolta entomologica e gravi danni riportarono uccelli e mammiferi. Oggi il museo ha finalmente una sede decorosa al secondo piano del nuovo edificio di via Dario Cassuto, dove occupa sette sale ampie e luminose.
La prima sala accoglie una piccola serie di spongiari, fra i quali appaiono belle varietà della spugna comune ed un esemplare di Eupleclella aspergillum, dal mirabile scheletro siliceo che sembra uscito dalle industri mani di qualche artefice di Murano.
Dalle pareti le gorgonie protendono verso l'alto i loro rami ed i loro Rabelli, mentre nella vetrina centrale una ricchissima raccolta di madrepore offre la fugace illusione di un banco madreporico a bassa marea; ricordo fra esse un esemplare di Meandrina cerebriformis, di ammirabile regolarità e del diametro gigantesco di quasi 60 centimetri. Parte della collezione malacologica è disposta in questa sala: vi troviamo i cefalopodi, gli pteropodi, gli eteropodi e quasi tutti i gasteropodi branchiati con le ricche serie dei murici (ottanta specie), dei coni (duecento), delle mitre (centotrentasei), delle cipree (centocinquantacinque). 

Fra essi primeggiano le grandi conchiglie esotiche di cui si fanno cammei o lavori d' intarsio: cassidi, strombi e pterocere; meraviglie di forme e vaghezza di colori, che giustificano la prosa ornatissima, con la quale Daniello Bartoli, nella Ricreazione del savio celebrava Ia "varietà delle chiocciole ".
Passiamo alla seconda sala, coralli ed antipati richiamano alla memoria i fasti di un'industria livornese ormai decaduta. Nelle vetrine delle pareti ancora conchiglie di molluschi: predominano qui i gasteropodi polmonati che arriva quasi a millecinquecento specie, con i giganteschi bulimi dei paesi tropicali, con le acatinelle delle Hawai,le maiolicate acatine di Cuba, le piccole ed interessanti dausilie. Succedono ai gasteropodi i bivalvi, che straripano anche nella terza sala: se non troviamo fra essi valve gigantesche di tridacna, del peso di 250 chilogrammi, come quelle che Venezia donò a Francesco I e che servono oggi in S. Sulpizio a Parigi da pile per acquasanta, possiamo ammirare belle e numerose serie di Unio, di Anodonia, di pettini variopinti ed orecchiuti. Per chi ama le cifre aggiungerò che la intera collezione malacologica tocca le ottomilatrecento specie con circa venticinquemila esemplari! Seguono altri invertebrati: echinodermi, brachiopodi, crostacei, prevalentemente del nostro Tirreno.
In una piccola raccolta di pesci da poco iniziata osserviamo un bell'esemplare di pesce balestra (Balisies capriscus} pescato a Vada nel maggio del 1930 e donato In carne dalla cortesia del Comm. Gino Vestri.
Assai numerosi sono i rettili:ma questa raccolta , che proviene dal museo Castelli e che fu scoperta fra i detriti di una bottega di rigattiere dal compianto prof. Mantovani, ha scarso valore scientifico, perché priva di indicazioni di habitat e di esatta determinazione.
Nella vetrina centrale sono adunati grossi trampolieri e palmipedi, come gru, fenicotteri e cigni, ed alcuni gruppi biologici, fra i quali un grifone di Sardegna nell' atto di aggredire un coniglio, una coppia di merli con i piccoli nidiaci, una chioccia con i pulcini all'atto della schiusura dell'uova, preparati questi ultimi dal Cav. Schiavazzi e distinti con premio all' Esposizione nazionale di Torino del 1900.
La collezione sistematica degli uccelli è distribuita nella quarta e nella quinta sala e comprende circa la meta delle specie italiane elencate dal Giglioli nell'Avifauna italica.

 
Fra esse non figura piu l'unico esemplare catturato in Italia di codazzurro (Nemura cuanura), che fu ceduto nel 1886 alla collezione centrale dei vertebrati italiani in Firenze, e neppure la coppia di edredoni (Somateria mollissima), probabilmente i primi adulti presi in Italia (Varese, 1881), che furon rovinati dai tarli e trovansi oggi fra i materiali di scarto. Ma non mancano cose rare, come una passera sarda (Passer hispaniolensis)


due zigoli della neve (Plearophanes nivalis}, un edredone giovane, catturati presso Livorno, e un'aquila imperiale (Aquila heliaca), che sarebbe il secondo individuo catturato fino ad oggi in Italia, almeno se esso proviene dalla Lombardia, come indica il catalogo.

Specialmente numerosi sono poi i palmipedi e i trampolieri, anche di specie non comuni fra noi, provenienti. In gran parte da quelli che furono i paduli di Tombolo e di Coltano: mi piace di ricordare un bel gruppo di volpoche (Tadorna iadorna), un'oca lombardella (Anser albifrons), un gambecchio frullino (Limicola platyrhyncha), dono dell'appassionato ornitologo Cay . Francesco Ott,
una serie di cavalier d'Italia (Himaniopus candidus) e di avocette (Recurvirostra Avocetta), specie quest' ultima divenuta assai scarsa in Italia, alcune gazze marine (Alca torda) e un pulcinella di mare (Fratercula arctica)
Accanto alla collezione italiana troviamo una piccola raccolta di uccelli esotici, in gran parte del Brasile e del Peru, donati dai signori comm. L. Heukensfeldt Slaghek e cav. Conti; ira i pochi non americani deve essere segnalato un bell' esemplare di kiwi (Apteryx Owenii) della Nuova Zelanda.
Modesta è la collezione dei mammiferi, nella quale tuttavia troviamo due gatti selvatici (Felis catus) della foresta di Tombolo (1884 e 1893), ultimi rappresentanti di una specie scomparsa dal nostro territorio,

un daino maschio, completamente albino, proveniente da S. Rossore, una foca del Mediterraneo (Pelagius monachus), uccisa presso Portoferraio nel 1879, e lo scheletro di un globicefalo (Globicephalus melas), delfinide molto raro nel Mediterraneo, poiché il numero degli individui raccolti fino ad oggi sulle coste italiane non supera la diecina.
Ricca è invece la collezione dei minerali e delle rocce, che conta circa tremila esemplari e non meno numerosa è quella paleontologica che supera le quattromila specie.
Nella collezione mineralogica sono rappresentati i più noti e classici giacimenti italiani, specialmente quelli delle Alpi Apuane, dell'Elba, della Catena metallifera toscana e della Sardegna; notevoli, fra i minerali non italiani, quelli d'Inghilterra donati dal Signor Jago, quelli australiani regalati dal Signor P. Oattari ed infine una piccola raccolta fatta dal Signor Gino H. Slaghek-Fabbri nel deserto di Atacama.
Nella collezione paleontologica predominano i fossili dei terreni terziari. Straordinariamente numerosi sono i molluschi pliocenici delle marne di Lari, di Orciano, di Volterra, lra i quali si conservano i tipi di specie nuove descritte dal Mantovani, dalI'Appelius e da altri autori. Vi sono inoltre a centinaia coralliari ed echinodermi ed abbondano i resti di vertebrati: pesci fossili del Gabbro, del Volterrano, del Monte Bolca e degli scisti nummulitici di Engi (Glarus), avanzi di delfinidi e di balenidi, denti e ossa isolate ai mastodonti, di rinoceronti e di altri mammiferi.
Più alto valore, sia detto senza sentimentalismi, hanno i documenti per lo studio geologico della terra nostra, cioè i fossili del Livornese, per la maggior parte post pliocenici, che sorpassano le settecento specie; uno dei più importanti e la Mitra (Imhricaria) Catesinii, nota per il solo esemplare descritto da un insigne maestro dell' Universita pisana e dedicato al nome di Giovanni Batt. Caterino Caterini, che lo raccolse negli scavi per le fondazioni del ponte girante.
Col nome di questo modesto operaio della scienza al quale non furono risparmiati in vita dalla così detta gente seria amarezze e sarcasmi, termino queste brevi note augurando che esse possano suscitare intorno al museo livornese fervore di consensi e larghezza di aiuti".
Mi associo alle parole di Alberto Razzauti.
Termino, rammentando che il Museo su descritto è andato distrutto dagli eventi bellici della Seconda Guerra Mondiale, quanto ne rimase fu trasferito presso l'Acquario Comunale "Diacinto Cestoni", riaperto al pubblico nel 1952.
Dopo i lavori di ristrutturazione della Villa Henderson, in Via Roma, il museo vi fu trasferito ed è la sua attuale sede.
Bibliografia:
  • Alberto Razzauti, in Liburni Civitas, Rassegna di attività Municipale, a cura del Comune di Livorno, Anno III, Fascicolo 5. anno 1930, pagg. 268-280
  • Giuseppe Vivoli, Annali di Livorno dalla sua origine sino all’anno di Gesù Cristo 1840, Tomo IV, Livorno, Sardi, 1856, pag. 710
  • Francesco Pera, Biografie Livornesi, Livorno, Vigo Editore, 1868, pag. 136
  • Giuseppe Piombanti, Guida storica ed artistica della città e dei contorni di Livorno, Livorno, Gio Marini Editore,1873, pag. 215

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